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Ateco: chi era costui?

Le imprese dovrebbero cercare di applicare le norme ricordando che, al momento, tutto quello che non è essenziale deve essere fermato.

“Ateco, chi era costui?” Questa la domanda più in voga in questi giorni tra gli imprenditori, piccoli o grandi che siano. Un innocente numerino, vissuto per tanto tempo nell’anonimato della burocrazia amministrativa, è diventato – dopo il DPCM del 22 marzo – il lasciapassare quasi esclusivo per continuare l’attività aziendale: solo le aziende titolari di alcuni specifici codici Ateco, elencati da quel decreto, possono restare aperte.

Un numero così importante dovrebbe essere facile da capire ed applicare: ma purtroppo cosi non accadde, a causa della proverbiale attrazione del nostro ordinamento giuridico per la complicazione degli affari semplici.

Quali problemi per il codice Ateco?

Il primo problema riguarda la poca “sincerità” del codice Ateco: non avendo, fino ad oggi, un reale significato produttivo, questo numero spesso è stato utilizzato in modo impreciso per descrivere la realtà aziendale. Ci sono, cosi, aziende che producono plastica ma hanno la “targa” dei calzaturifici, e cosi via. Cosa prevale, in questi casi, il numero o l’effettiva attività produttiva?

Il secondo problema si collega alla frenesia che sta accompagnando tutta la fase di scrittura del “diritto dell’emergenza”: non c’è regola, ordinanza o indicazione destinata ad avere una stabilità che vada oltre il giorno dell’approvazione. Instabilità che ha travolto anche i codici Ateco, approvati domenica sera (dopo un lungo negoziato, durante il quale tanti codici sono entrati papi ed usciti cardinali) e già cambiati, modificati e integrati mercoledì. Aziende che potevano restare aperte domenica devono essere chiuse giovedì, e viceversa.

Il terzo problema riguarda l’oscurità delle norme: qualcuno potrebbe pensare che l’utilizzo dei codici Ateco aiuti a dare chiarezza. Invece no: il codice è l’inizio di un labirinto lessicale fatto di rimandi oscuri e frasi interpretabili, che fanno la gioia degli avvocati e gettano nello sconforto le imprese, chiamate in questi giorni a fare scelte difficili e quindi più che mai desiderose di avere certezze.

Si pensi alle agenzie per il lavoro: possono stare aperte, ma solo a certe condizioni, non facili da capire e applicare.

Come uscirne?

Speriamo che prevalga il buon senso: le imprese dovrebbero cercare di applicare le norme ricordando che, al momento, tutto quello che non è essenziale deve essere fermato. Il Governo e le istituzioni, da parte loro, dovrebbero frenare l’istinto alla regolazione continua, decretando una “moratoria”: niente cambi di regole, circolari e procedure per almeno dieci giorni (non facile, se è vero che sta per uscire il quarto modulo di autocertificazione in 15 giorni….).

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