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L’odissea dei Rohingya, costretti a sbarcare su isole deserte del Bangladesh dopo mesi bloccati alla deriva

I gruppi attivi per i diritti civili tra Bangladesh e Malesia hanno denunciato che i rispettivi governi stanno usando la pandemia come pretesto per non accogliere i migranti. Altri due pescherecci, con a bordo 500 persone, sono rimasti alla deriva

Prima bloccati in mezzo al Golfo del Bengala, poi obbligati a navigare su dei pescherecci sovraccarichi verso le isole deserte del Bangladesh. È questa la situazione per centinaia di rifugiati Rohingya che iniziano a essere spediti dalle autorità bengalesi verso località disabitate, dopo essere rimasti bloccati per mesi alla deriva delle coste della Malesia.

Secondo quanto riportato dal Guardian, decine di persone sono sbarcate in questi giorni sull’isola di Bhasan Char, nell’estuario del fiume Meghna: una località a continuo rischio mareggiate, per l’innalzamento del livello del mare. Altre centinaia – tra cui bambini e teenager – restano invece ancora bloccate alla deriva. Un ufficiale bengalese ha comunicato che 43 persone sono state fatte sbarcare nelle rive delle coste a sud del Paese.

Google Maps | Geolocalizzazione dell’isola di Bhasan Char

Lo scorso 26 aprile, la Malaysia aveva negato l’attracco sulle sue coste a una nave con a bordo centinaia di rifugiati Rohingya. Il motivo ufficiale, riportato dalla Bbc, era che il governo aveva «timori per la diffusione del Coronavirus». I gruppi attivi per i diritti civili tra Bangladesh e Malaysia hanno poi denunciato che i rispettivi governi stanno usando la scusa della pandemia per non accogliere i migranti. Il ministro degli Esteri del Bangladesh ha inoltre dichiarato che il Paese« è già sovraccarico» e che non permetterà alle barche di attraccare. Attualmente, il Bangladesh ospita circa 1 milione di Rohingya, scappati dalle persecuzioni religiose nel Myanmar.

Ora, il trasferimento imposto sull’isola di Bashan Char rischia di lasciare centinaia di persone isolate, senza cure mediche né accesso all’istruzione, ed esposte a rischi ambientali non indifferenti. Yanghee Lee, che recentemente si è dimessa da relatrice speciale delle Nazioni Unite per il Myanmar, aveva già avvertito che non è scontato che l’isola sia «realmente abitabile».

Circa un mese fa, l’Onu aveva diffuso un appello affinché la comunità internazionale iniziasse a interessarsi al dramma dei rifugiati. Stando a quanto testimoniato da Medici Senza Frontiere, i trafficanti di esseri umani stanno continuando ad affamare e picchiare i rifugiati a bordo delle imbarcazioni. Anche i familiari delle persone sulle barche hanno chiesto aiuto internazionale affinché possa essere inviato un aiuto ai loro cari: molti di loro sono fuggiti dai campi profughi bengalesi, dove vivevano in condizioni estreme.

Attualmente a largo sono bloccati almeno altri due pescherecci con a bordo 500 persone l’una. Secondo le testimonianze, durante queste settimane sono morte decine di persone (probabilmente 70) e altre sono state costrette a bere acqua marina come antidoto contro il virus. L’ultima volta sono state avvistate due settimane fa.

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