Chi è Félicien Kabuga e cosa è successo in Ruanda nel 1994

Kabuga era latitante da 23 anni. E’ stato incriminato dal Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per il Ruanda per sette capi d’accusa, tutti riferiti al massacro nel quale morirono circa un milione di persone

Félicien Kabuga, uno dei latitanti più ricercati al mondo, è stato arrestato in Francia nella mattinata del 16 maggio. Kabuga, 84 anni, è stato accusato nel 1997 dal Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per il Ruanda di aver finanziato il genocidio del 1994, uno degli episodi peggiori della storia africana. Dal 6 aprile fino alla metà del luglio di quell’anno, vennero uccisi indistintamente circa un milione di civili. La sua cattura, dopo una ricerca che è andata avanti per 23 anni attraverso due continenti, è considerata il secondo arresto più importante operato da un tribunale internazionale. Prima di lui c’è stato quello del generale Ratko Mladic nel 2011, il leader militare serbo condannato per il genocidio in Bosnia durante la guerra dei primi anni Novanta.


Chi è Félicien Kabuga

Negli anni precedenti al genocidio Kabuga era uno degli uomini più ricchi del Paese. Usò il suo potere e le sue risorse finanziarie per rifornire di armi (molte delle quali importate illegalmente dalla Cina) il gruppo paramilitare Interahamwe, esecutore materiale del massacro. Le milizie delle Interahamwe usarono contro le minoranze tutsi (ma anche contro gli hutu moderati) armi da fuoco, machete e mazze chiodate. Complessivamente, tra Ruanda e Burundi, gli hutu rappresentano circa l’85% della popolazione, mentre i tutsi solo il 14%. I rapporti tra le due etnie sono stati complicati anche dalla presenza coloniale belga sul territorio e dall’influenza che questa ha avuto nella formazione dei diversi governi.


Il genocidio

EPA/DAI KUROKAWA | I vestiti di coloro che vennero uccisi durante il genocidio del 1994 esposti per la commemorazioni a 25 anni dalla tragedia. Kigali, Ruanda, 06 aprile 2019

Il genocidio iniziò il 6 aprile del 1994, quando un aereo con a bordo l’allora presidente del Ruanda, Juvenal Habyarimana (di etnia hutu), venne abbattuto. Gli hutu addossarono le responsabilità ai gruppi ribelli e antigovernativi dei tutsi, il Fronte Patriottico del Rwanda. L’FPR rigettò le accuse, ma il tentativo di difesa fu vano: per oltre 100 giorni si verificano uccisioni violente e indiscriminate su parte della popolazione locale. Gran parte degli amministratori, delle forze armate ruandesi e delle Interhamwe misero in pratica un piano politico-sociale ben strutturato per eliminare fisicamente non solo tutti i tutsi, ma anche di molti hutu moderati o non originari del Nord.

Oltre a finanziare le milizie delle Interahamwe – supportate anche dalle forze governative – Kabuga è stato accusato di aver sfruttato la sua stazione radio, la Radio-Televisione Mille Collines, per fomentare l’odio e le violenze contro i tutsi, rivelando i loro nascondigli e suggerendo ai miliziani delle Interahamwe le vie per trovarli. In totale, Kabuga è stato incriminato dal Tribunale penale internazionale per sette capi d’accusa riferiti al massacro: complicità, istigazione diretta e pubblica, tentativo di commettere genocidio, cospirazione, persecuzione e sterminio.

Per 23 anni, e prima di arrivare in Francia, Kabuga si è nascosto probabilmente tra Kenya, Germania, Svizzera e altri Paesi.« Kabuga è sempre stato considerato dalle vittime del massacro e dai sopravvissuti come una delle figure di spicco del genocidio», ha dichiarato sabato scorso all’Aja Serge Brammertz, procuratore capo del tribunale. «Dopo un’attesa così lunga, il suo arresto è un passo importante verso la giustizia».

L’arresto

Kabuga è stato arrestato nella sua casa a Asnières-sur-Seine, una cittadina vicino Parigi, nella Regione dell’Île-de-France. Secondo quanto riportato dalle autorità francesi, Kabuga viveva da anni sotto falso nome, coperto dalla complicità dei figli. Serge Brammertz, il procuratore capo dell’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals (IRMCT) dell’Aia – che gestisce i casi eccezionali di crimini di guerra, come quello del Ruanda e dell’ex Jugoslavia – l’ha definita «una prova che i responsabili dei genocidi possono assere arrestati anche a distanza di 26 anni dai loro crimini».

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