Omicidio George Floyd, raid anti-razzista a Roma: imbrattata una statua e cambiato nome a una via: «Simboli del colonialismo» – Il video

«Esigiamo che la nuova stazione della metro C NON sia dedicata alla battaglia dell’Amba Aradam, ma ricordi al contrario le vittime del razzismo, come George e Bilal»

Vernice rosa sul busto di Antonio Baldissera, generale a capo delle truppe italiane in Eritrea. E poi via dell’Amba Aradam che cambia nome e diventa via George Floyd. È l’azione, nella notte a Roma, di un gruppo di attivisti della rete Restiamo Umani, ispirata al movimento Black Lives Matter e sulla scia delle polemiche sulla statua di Indro Montanelli a Milano.


Dagli Stati Uniti alle sponde del Mediterraneo non si fermerà la protesta. Scrivono rivendicando i gesti su Facebook. «Appare evidente la necessità di riportare una narrazione storicamente veritiera del colonialismo italiano», spiegano.


Facebook/Rete Restiamo Umani

«Nessuna “contestualizzazione storica” dell’operato di questi uomini, assassini e violentatori, deve distrarre e far venir meno il rifiuto convinto per quegli avvenimenti che hanno inquinato la nostra società, perché è su di essi che è stato costruito un mondo iniquo e violento in cui il valore della vita si misura in base al colore della pelle».

Via dell’Amba Aradam

A Roma, a due passi da San Giovanni, c’è via dell’Amba Aradam. Lì verrà aperta una nuova fermata della metro C che porterà lo stesso nome. Gli attivisti hanno cambiato nome nella notte a via dell’Amba Aradam e a largo dell’Amba Aradam intitolandole a George Floyd e a Bilal Ben Messaud, morto a Porto Empedocle il 20 maggio 2020 mentre cercava di raggiungere terra, fuggendo dal confinamento forzato in nave a causa della quarantena per il Coronavirus. «Esigiamo che la nuova stazione della metro C NON sia dedicata alla battaglia dell’Amba Aradam, ma ricordi al contrario le vittime del razzismo, come George e Bilal», spiegano dalla Rete Restiamo Umani.

Facebook/Rete Restiamo Umani

Pochi sanno che il nome di via dell’Amba Aradam viene da un massacro del 1936 quando l’esercito italiano in Etiopia usò il gas iprite per piegare la resistenza locale. «È tutto un ambaradan» è un’espressione che viene da lì. Da un massacro operato dagli italiani. «Alcune nostre strade richiamano stragi vergognose compiute dai soldati italiani in Etiopia, come via dell’Amba Aradam, alcuni monumenti conferiscono invece gloria eterna a uomini colpevoli delle peggiori atrocità verso il genere umano», ragionano gli attivisti.

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Il busto al Pincio

«Tra gli “illustri” della storia italiana al Pincio possiamo trovare un busto di Antonio Baldissera, generale a capo delle truppe italiane in Eritrea e succesivamente Governatore della colonia italiana di Eritrea alla fine del XIX secolo, quasi che il passato coloniale italiano fosse un lustro invece che un crimine che come tale va ricordato». Ora quella statua è stata imbrattata di vernice rosa, «a ricordare la violenza razzista e coloniale da lui perpetrata ai danni delle popolazioni africane».

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