M5s, D’Uva: «Alleanze col Pd? Sulle Regionali decidono i territori, non facciamo tatticismi» – L’intervista

«Un congresso? Possiamo chiamarlo con qualsiasi nome, ci sta, ma non è il momento. Ora bisogna risolvere i problemi del Paese»

«Sulla Liguria le decisioni devono essere prese sentendo i territori, gli attivisti, gli iscritti. Ogni territorio è a sé stante. Non accetto che sia Roma a dover decidere cosa sia meglio per le realtà locali». Sulle Regionali, tema caldo in casa governo giallorosso visti i tanti nodi da sciogliere, il deputato del Movimento 5 stelle Francesco D’Uva non ha dubbi: decidano i territori e, soprattutto, si lavori attorno ai programmi, alle idee. Di questo e di altro abbiamo discusso con lui.


C’è la necessità di un congresso nel M5s?


«Possiamo chiamarlo congresso, stati generali, con qualunque nome, sì, ci sta assolutamente, ma non è il momento. Adesso gli italiani vogliono risposte post Covid, siamo in piena emergenza economica. Ben venga parlare dei problemi del Movimento una volta però che abbiamo risolto i problemi del Paese. A me sembra assurda l’idea che dobbiamo stare chiusi in noi stessi, a parlare dei nostri problemi, quando i cittadini fuori chiedono risposte. Evitiamo di fare l’errore che hanno fatto i partiti in passato, e che hanno portato persone come me a credere in un Movimento nuovo, perché quelli erano troppo autoreferenziali. Evitiamo di diventarlo anche noi».

Dopo l’era Di Maio c’è un problema di leadership nel Movimento? Come vede i nomi di Conte e Di Battista per un eventuale cambio alla guida?

«Di Maio è stato un grande esempio di leadership fintanto che è stato il capo politico del Movimento. Devo dire che è anche difficile trovare qualcuno con le sue capacità di leadership. Ma ora la cosa importante è che tutte le anime del Movimento possano eventualmente sentirsi rappresentate. Che sia una persona, o un comitato, va bene. Conte sappiamo benissimo essere espressione del M5s al Governo, però è anche una persona terza.

Ma se vuole dare una mano al Movimento ben venga, non possiamo che essere felici. Alessandro Di Battista è un pezzo fondamentale del M5s, lo è stato in passato come parlamentare, lo è oggi come attivista. Abbiamo non solo il dovere di non ignorare tutti i contributi che vorrà dare, ma proprio di fare in modo che possano anche essere espressione di tutto il gruppo parlamentare e di tutto il Movimento. Per quanto riguarda i ruoli particolari si può ragionare anche nel senso di una leadership collegiale».

Capitolo Regionali. Il centrodestra sembra compatto come una testuggine romana. Nel centrosinistra cosa succede in Liguria? Riuscirete a trovare un accordo con il Pd?

«Sulla testuggine romana del centrodestra il discorso è sempre lo stesso: forti sul campo di battaglia poi pronti ad assassinarsi a corte, come succedeva nell’Impero romano. In Regione Sardegna ci hanno messo tre mesi a fare la Giunta. Oggi leggo Tajani fare presente che in Puglia va bene Fitto come presidente, però loro vogliono il presidente del Consiglio regionale. Non sanno nemmeno se vinceranno e già si stanno spartendo le poltrone.

Si compattano bene per convenienza, ma non hanno un progetto. Pensando alle candidature di Fitto e Caldoro mi sembra di sentire il brano di Raf: “Cosa resterà degli anni ’80”. Sulla Liguria le decisioni devono essere prese sentendo i territori, gli attivisti, gli iscritti. Ogni territorio è a sé stante. Non accetto che sia Roma a dover decidere cosa sia meglio per un singolo territorio. Siano loro, in Liguria, a trovare la quadra migliore per il proprio territorio. Se ci sono i presupposti per fare qualcosa insieme ben venga, se il territorio non lo consente allora si va da soli e si porta avanti una propria battaglia identitaria del M5s».

E invece cosa succede in Puglia? È da escludersi un appoggio a Emiliano? La grande frammentazione nel centrosinistra non rischia di far vincere Fitto?

«La nostra storia insegna che il M5s non è in grado di fare tattiche e tatticismi. Non è il nostro pane. Da questo punto di vista siamo cittadini comuni che non pensano a quella che è la strategia migliore, ma pensano: noi vogliamo questo tipo di programma. Ci sono i presupposti per fare in modo che attorno a questo programma, a queste idee, ci siano altre liste che vogliano attuarlo o no? Se sì bene, altrimenti andiamo da soli».

Si fa un gran parlare del possibile, ma ora meno probabile, taglio dell’Iva. Quale intervento sul cuneo fiscale serve al Paese per ripartire?

«Sul taglio dell’Iva ricordo che un anno fa abbiamo formato un governo proprio per scongiurare che l’Iva aumentasse. Se fossimo andati al voto non avremmo avuto il tempo di fare una Legge di bilancio in questo senso e l’Iva sarebbe aumentata. Adesso dobbiamo fare in modo di ripartire. Tagliare le tasse è sicuramente uno dei modi migliori, ma quali? Sappiamo che l’Iva è una tassa odiosa che colpisce i consumi, ma ci sono delle aziende che hanno costi elevatissimi per assumere il personale. Per affrontare la crisi serve una riforma fiscale complessiva per abbassare tutte le tasse. Bisogna trovare una formula unica».

Capitolo Europa. Mes, Recovery Fund, che strada dobbiamo prendere? Il Pd spinge sul primo, voi siete proprio irremovibili?

«Abbiamo un Recovery Fund da 750 miliardi, una parte di questi a fondo perduto. Questo è ciò su cui ci stiamo concentrando. Poi c’è un attaccamento molto forte, a livello politico e mediatico, sul Mes, che vale 36 miliardi. Lo dico perché sembra che il nostro futuro dipenda dal Mes, quando direi che dipende dal Recovery Fund.

Sul Mes si tratta comunque di prestiti e il vero problema sono le condizionalità. Il problema è se tu accetti qualcosa e poi ti dicono: ok ora devi farmi queste riforme. Così non sei più sovrano della politica del tuo Paese. Questo a noi non piace. Va detto però che stiamo parlando di una Europa totalmente diversa da quella che mi si è presentata quando mi sono candidato nel 2013. Uscivamo da Monti, era il periodo delle lacrime e sangue. Qualcosa è cambiato in Europa, anche grazie a noi».

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