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Giacomo Caliendo, dai soldi nella banca chiacchierata alla norma anti Gabanelli: chi è il senatore azzurro che ha restituito i vitalizi pieni agli ex parlamentari

26 Giugno 2020 - 14:09 Redazione
Su cinque componenti della commissione due, i leghisti Pillon e Riccardi, hanno votato contro. Trattandosi di voto segreto si desume che a favore siano stati i due membri tecnici e il presidente Caliendo

Mes, Recovery Fund, Iva, ammortizzatori sociali, scuola, ce n’era abbastanza per riempire le pagine dei giornali in tempo di crisi, ma adesso c’è un grande ritorno: i vitalizi. La decisione della Commissione contenziosa del Senato, arrivata nella serata di ieri, di annullare la delibera dell’Ufficio di presidenza che aveva stabilito il ricalcolo retroattivo dei vitalizi dei deputati in base al sistema contributivo, comportando tagli anche molto consistenti, ha scatenato un terremoto politico, causando proteste bipartisan, dal Pd alla Lega. Dei cinque membri della commissione due, i leghisti Pillon e Riccardi, secondo quanto subito precisato dalla Lega sui propri canali social, si sono espressi contro la decisione. Quindi, pur trattandosi di voto segreto, si desume che i tre a favore siano stati i due membri tecnici e il presidente della Commissione, il forzista Giacomo Caliendo.

Il personaggio

Magistrato, 77 anni, forzista della prima ora, Caliendo è senatore dal 2008. Entrato in magistratura nel 1971, durante gli anni ’80 ha ricoperto tutte le cariche più rilevanti all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati, fino a diventarne presidente nel 1991. Quando nel 1993 viene costituita Forza Italia, Caliendo si lascia sedurre dalla chiamata alle armi lanciata da Berlusconi agli uomini provenienti dalla “trincea del lavoro” e si lancia in politica. Ma politica vuol dire visibilità con tutti i rischi che comporta, e poco dopo la sua elezione a senatore, nel 2010, quando è sottosegretario alla Giustizia, finisce coinvolto nella famosa inchiesta su una presunta associazione segreta, ribattezzata P3. Come per molti altri indagati, una volta terminate le indagini la Procura chiede l’archiviazione della posizione di Caliendo e il senatore forzista viene prosciolto da ogni accusa.

Per essere un politico non professionista va detto che Caliendo si distingue nella difesa dei diritti della politica. Contro tutti, riformatori, grillini, giornalisti. Parallelamente alle polemiche sui vitalizi, nel dicembre dello scorso anno il suo nome, insieme a quello di molti altri, finisce in un’altra diatriba: quella sul taglio del numero dei parlamentari. Caliendo infatti è tra i 64 firmatari (di cui 41 di Forza Italia) per il referendum confermativo che punta a evitare la decimazione.

Il conto alla Arner

Nel 2011 è una rivelazione de l’Espresso a far discutere sull’allora sottosegretario forzista. La vicenda risale al 2005 quando Caliendo, ancora magistrato, e la moglie, avrebbero affidato complessivamente un milione di euro alla filiale italiana della Banca Arner (evaporata nel 2014), istituto finito al centro di varie inchieste e commissariato nel 2008 da Bankitalia per violazione delle norme antiriciclaggio. Siamo nel periodo dell’inchiesta sulla P3 e l’Espresso rivela questa storia facendo proprio riferimento agli atti trasmessi dalla Procura di Milano, nel dicembre 2010, su richiesta dei pm romani che indagano. Nessuna rilevanza penale, ma la scelta di un magistrato di affidarsi a una banca tutt’altro che trasparente all’epoca fa molto discutere.

L’emendamento “anti-Gabanelli”

E veniamo ai giornalisti. Nel 2012, nell’ambito del Ddl sulla diffamazione, salta fuori un emendamento presentato dal senatore Caliendo che fa letteralmente drizzare i capelli a tanti. La norma viene ribattezzata subito “anti-Gabanelli” con riferimento all’allora conduttrice di Report. Prevede di annullare quelle tutele, inserite nei contratti, per le quali gli autori di reati a mezzo stampa “sono sollevati in tutto o in parte dagli oneri derivanti dal pagamento delle pene pecuniarie loro comminate, a seguito dell’accollo degli stessi da parte delle altre persone indicate”, ovvero gli editori. Insomma i giornalisti vengono così lasciati soli di fronte a cause giudiziarie, venendo sollevati gli editori dagli oneri economici conseguenti a eventuali reati. Per molti giovani cronisti, freelance, precari, costretti così a rispondere di tasca propria in caso di contenziosi, si profila uno scenario alla Davide contro Golia. La norma, però, pochi giorni dopo sparisce.

Le accuse di conflitto d’interesse

Il nome di Caliendo torna al centro della polemica politica il 30 gennaio scorso, a seguito di un articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano. Il giornale, facendo riferimento a una bozza di documento, accusa la Commissione contenziosa, di cui lo stesso Caliendo è presidente da inizio legislatura, di aver già stabilito, a priori, l’annullamento della delibera. Precedentemente, nel novembre del 2019, la senatrice del M5s Elvira Evangelisti aveva deciso di dimettersi dalla Commissione proprio per i presunti conflitti di interesse che avrebbero riguardato l’organo, che non sarebbe dunque stato imparziale nella decisione da assumere in ordine ai vitalizi. Dopo le rivelazioni de Il Fatto Quotidiano, è il Movimento 5 stelle a rincarare la dose, lanciando un attacco durissimo sul suo blog: «Il presidente della commissione è Giacomo Caliendo, – si legge – senatore di lungo corso di Forza Italia, vicino alla presidente e al suo capo di Gabinetto, l’ex senatore Nitto Palma. Sia Palma che Caliendo hanno maturato il diritto al vitalizio».

Quando disse che si sarebbe astenuto

Alcuni giorni dopo Caliendo, rispondendo alle accuse di media e avversari politici, annuncia che si sarebbe astenuto dalla decisione: «Pur non avendo nessun problema di conflitto di interessi, ho raggiunto la decisione di astenermi da quel processo. Lo faccio per difendere il Senato e i principi dell’autodichia, che sarebbero messi in forse da iniziative che crescono per impedire che sia assunta una decisione corretta con le regole del diritto e non con la forza della maggioranza». Dopo la decisione di ieri sera Caliendo si è limitato a osservare che «la commissione contenziosa è un organo giurisdizionale che applica la legge e non può modulare le proprie decisioni in base a convinzioni politiche, per cui sarebbe auspicabile che le critiche tenessero conto di tale non irrilevante particolare su cui si fonda anche l’autodichia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».

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