I profili social di Mario Bressi trasformati in un forum sull’omicidio dei figli. Perché Facebook non li chiude?

Dalla notte della strage gli account dell’uomo sono stati riempiti di giudizi, analisi e retroscena. La responsabilità delle piattaforme digitali in questi casi resta un argomento controverso

Oltre 3 mila. E solo per l’ultimo post pubblicato. Il numero di commenti sotto i post di Mario Bressi negli ultimi tre giorni è esploso. Sia su Facebook che su Instagram se ne leggono centinaia per ogni contenuto, compresi quelli del passato. Bressi, l’uomo al centro del delitto della Valsassina, aveva un profilo quasi del tutto pubblico ma prima che il suo nome diventasse l’apertura dei quotidiani nazionali, le sue interazioni erano quelle di tanti altri utenti: qualche like e i commenti di amici e parenti.


L’imbeccata è arrivata proprio dai giornali. Già nei primi lanci di agenzia si citavano i profili social di Bressi. In particolare quello Instagram su cui, proprio nella notte del duplice omicidio, Bressi ha pubblicato due foto con scritto «Con i miei ragazzi… sempre insieme». La curiosità, quella stessa attenzione morbosa che ci fa rallentare davanti a un incidente, ha fatto il resto.


Gli insulti, le analisi e i retroscena. Cosa dicono i commenti

FACEBOOK | Alcuni dei commenti scritti sotto la bacheca di Bressi

La vita virtuale e quella reale. Il popolo della rete e quello delle piazze. Il nickname e la carta di identità. Più proseguiamo nel far web digitale e più ci accorgiamo che non ha senso parlare di due mondi distinti. I social sono entrati a far parte della nostra vita, hanno cambiato le nostre relazioni e il ricordo che abbiamo di noi e degli altri. Facebook, Instagram, Twitter, TikTok o Twitch non sono un mondo diverso in cui vivere una vita parallela.

Il pellegrinaggio macabro sulle ultime tracce digitali lasciate da Bressi non sembra così insensato se pensiamo ai turisti che passano da Cogne e si fermano davanti alla casa dove ha vissuto Anna Maria Franzoni. È il turismo dell’orrore, dark tourism per gli anglofoni. Ma sulla pagina di Bressi gli utenti non si sono fermati a guardare, hanno voluto lasciare anche un segno del loro passaggio.

Prima ci sono stati gli insulti. Feroci, come ci si poteva aspettare dopo un gesto del genere: «Assassino», «Che tu possa marcire in quella tomba», «Nessun perdono e nessuna giustificazione». Poi le analisi, come se il profilo di Bressi fosse un forum per parlare della vicenda. E qui c’è chi si lancia in riflessioni sulla personalità partendo dalle sue foto, chi cerca di ricostruire gli ultimi attimi di vita dell’uomo e chi cerca di capire dagli orari di pubblicazione quanto fosse premeditato il delitto.

Perchè Facebook non chiude l’account

FACEBOOK | Un esempio di profilo commemorativo dedicato a un utente defunto

Il dibattito sulla responsabilità dei social network per i contenuti pubblicati dai loro utenti sta diventando serio. Solo negli ultimi giorni. Twitch ha chiuso l’account ufficiale di Donald Trump e mulinazionali come Coca-Cola e Starbucks hanno deciso di ritirare la pubblicità da Facebook. Sono lontani i giorni in cui Mark Zuckerberg cercava di smarcarsi dicendo che la sua non era una media company.

Secondo una stima del giornalista Michael Hiscock ogni giorno muoiono circa 10 mila utenti Facebook. Un numero che prima o poi potrebbe portare il primo social di Zuckerberg ad avere più profili di morti che di vivi trasformando così la piattaforma nel più grande cimitero del pianeta. Una prospettiva discretamente inquietante, anche per un discorso economico. Ai morti non interessa la pubblicità.

In caso di morte, per i social di Zuck esistono due opzioni. La prima è quella del “contatto erede”. Come in un testamente digitale, si decide di nominare un contatto che dopo il nostro decesso gestisca per noi l’account. La bacheca su cui postavamo foto e testi rimarrà attiva ma il nostro profilo diventerà solo “commemorativo” e davanti al nostro nome comparirà “In memoria di”. La seconda opzione prevede la cancellazione dell’account e può essere sollecitata da famigliari e amici compilando un modulo. Stessa cosa per Instagram.

Il problema è che il passaggio non è così automatico. Menlo Park non si accontenta di una semplice segnalazione: per trasformare un account normale in uno commemorativo c’è bisogno di qualcosa che certifichi il decesso, che sia anche solo un necrologio o un articolo di giornale. Per rimuovere del tutto un account serve un certificato di nascita, un certificato di morte e un documento che certifichi l’identità della persona che avanza la richiesta. Una procedura certo non immediata, tanto che spesso non viene nemmeno presa in considerazione.

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