Libia, la Turchia fa base a Misurata. Ecco perché è un problema anche italiano – L’analisi

I dettagli dell’accordo ancora non ci sono, ma è certo che l’intesa tra la Libia di al-Sarraj, la Turchia e il Qatar farà guadagnare ampio potere decisionale a Erdogan nel Mediterraneo. Matteo Colombo, ricercatore di Ispi e Ecfr, ha spiegato a Open perché

Alla fine, dopo mesi di interventi militari e accordi economici, Recep Tayyip Erdogan ha guadagnato il suo porto sul Mediterraneo centrale. Manca ancora la conferma ufficiale, ma stando alle più recenti informazioni è evidente che le fatiche della Turchia non potevano ambire a un risultato migliore: grazie al suo ruolo nella cacciata del generale Haftar da Tripoli, al-Sarraj ha concesso a Erdogan una base a Misurata. Al pari della capitale -ma forse ancor di più – Misurata rappresenta il punto più strategico dell’area per esercitare la propria influenza economica, militare e politica.


La notizia era nell’area da mesi, ma l’accordo sarebbe arrivato dopo l’incontro tra Libia, Turchia e Qatar annunciato il 17 agosto dal viceministro della Difesa libico Salam Al-Namroush. Erdogan ha già detto che domani, 20 agosto, darà una «buona notizia». Tra i vari punti dell’intesa ci sarebbe, appunto, la concessione della base militare alle forze turche a Misurata – la città da cui proviene la maggior parte delle milizie di al-Sarraj -, dove si occuperebbero anche dell’addestramento militare. Sul fronte del Qatar, il Paese avrebbe un ruolo fondamentalmente finanziario, impegnandosi a ricostruire le infrastrutture libiche, dilaniate da più di un anno di guerra civile (e per procura).


«Misurata è la città più importante per la coalizione del Governo di accordo nazionale», ha spiegato a Open Matteo Colombo, ricercatore associato dell’Ispi e da ottobre Pan-Europea Junior Fellow all’European Council on Foreign Relations. «Ma per Erdogan avere una base lì significa anche una cosa fondamentale: costruire una solida sfera d’influenza per quando i problemi economici della Turchia inizieranno a farsi sentire davvero».

Aldilà della retorica di Ankara, infatti, la situazione interna della Turchia non è delle più rosee. Ma la strategia di Erdogan di tirare il più possibile la corda mentre l’Unione Europea è ancora indecisa su quale posizione prendere, sembra per ora vincente. Per l’Italia, che dovrebbe ancora avere un presidio a Misurata e che non ha ancora deciso da che parte stare – se con o contro la Turchia – la conseguenza è una: da ora in poi, il governo italiano dovrà fare i conti con Erdogan prima di chiudere qualsiasi accordo con quello di al-Sarraj.

Fayez al-Sarraj e Recep Tayyip Erdogan, Novembre 2019

Dottor Colombo, cosa sappiamo di certo della presenza della Turchia a Misurata?

«Quel che sappiamo è che c’è stato l’incontro con l’idea di formalizzare la concessione della base di Misurata alle forze armate turche, con il Qatar coinvolto principalmente dal punto di vista finanziario. Questi due Paesi sono ormai i principali supporter di Tripoli. Non c’è stata ancora l’ufficialità ma, comunque, non è una decisione che stupisce: la Turchia sta investendo molto nell’area e ha voluto qualcosa in cambio. Già da mesi si parlava di questa possibilità».

Misurata era tra gli obiettivi principali di Haftar. Erdogan, grazie agli accordi di novembre con al-Sarraj, è intervenuto militarmente nell’area cacciando l’esercito del generale. Cosa significa avere oggi il controllo della città?

«Misurata è la città più importante per la coalizione di al-Sarraj, sia dal punto di vista militare che commerciale. Il suo non è un vero esercito, ma una coalizione di milizie, di gruppi locali che hanno scelto di sostenere Tripoli. Una scelta di natura economica, su tutto, visto che al-Sarraj può vendere il petrolio mentre Haftar no. E Misurata è anche la città da cui provengono gran parte di questi miliziani. Sono gli stessi gruppi che hanno portato avanti l’offensiva a Sirte contro l’Isis. Da un punto di vista interno, avere Misurata è importantissimo.

Dal punto di vista più geopolitico, poi, avere lì una base per la Turchia significa avere una base nel Mediterraneo centrale, che è un punto molto ambito. Erdogan ha così un piede in Africa da cui poter esercitare direttamente la sua influenza (anche sotto forma di aiuti), e può avere maggiore peso nelle politiche del Mediterraneo. Anche in chiave anti-egiziana, ovviamente».

Ma Erdogan è davvero così forte?

«Ecco, non esattamente. E lo dimostra il fatto che nella zona di Sirte si sta discutendo di un cessate il fuoco e la Turchia parrebbe voler accettare. Erdogan sa di avere in casa una grossa crisi economica, una svalutazione della moneta molto alta, e di essere – oltretutto – diplomaticamente isolata. Non ha molti Paesi amici ai confini, anzi. Aldilà della retorica di Ankara, al momento la Turchia ha bisogno di dialogare. Dovrà per forza di cose sedersi al tavolo delle negoziazioni. Questo Erdogan lo sa, e la strategia è proprio questa: guadagnare più reti d’influenza possibile così da avere poi le spalle coperte quando le cose si metteranno male».

EPA/ERDEM SAHIN | Istanbul e la svalutazione della moneta. Luglio 2020

L’accordo tra Turchia, al-Saraj e Qatar arriva a qualche giorno di distanza dall’altro accordo, quello tra Egitto e Grecia. A sua volta, questo era sorto per arginare gli interessi economici di Erdogan nell’area del Mediterraneo dell’est. C’entra il gas anche stavolta?

«Sì, ormai situazione libica e gas sono due cose legate. È chiaro che la Turchia gioca il suo ruolo in Libia per poter avere un peso nel Mediterraneo orientale e poter prendere parte alla partita del gas. Lo stesso accordo di novembre aveva questo ruolo. Per riuscirci ha bisogno da una parte di guadagnarsi la possibilità di rendere la costruzione del gasdotto Eastmed più lenta e costosa. Dall’altra, qualora non riuscisse a ostacolarla, vuole poter partecipare al Forum per la sua costruzione.

Certo, ormai è improbabile che il gasdotto venga realizzato in tempi brevi. C’è la crisi economica, siamo in recessione, e il gas si trova molto in profondità. Fare l’impianto è costoso. In ogni caso, per Erdogan è importante avere un ruolo, che sia quello di farlo fallire del tutto, o quello di essere tra i partecipanti».

Misurata è anche uno dei luoghi principali di partenza dei migranti dalla Libia. Questo significa che ora Erdogan controlla, proprio come voleva, sia i flussi via terra da Est (grazie agli accordi con l’Ue del 2016), sia quelli via mare da Sud?

«Sì, c’è ovviamente questo disegno. Erdogan sa che questa politica che coinvolge le partenze dei migranti gli consente di avere uno spazio di negoziazione con gli altri Paesi, soprattutto con l’Ue, che sembra facilmente ricattabile su questo piano. La Turchia può ben dire: “Se non accettate questa mia azione, io allora premo su questo fronte”».

Ansa | Il premier libico Fayez al-Sarraj ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte, Roma, 11 gennaio 2020

Date queste premesse, cosa comporta per l’Italia il controllo di Misurata da parte di Erdogan?

«Per l’Italia il crescente peso della Turchia, in una città dove fino ad ora aveva una certa influenza, ha un duplice significato. Da un lato la aiuta a rafforzare la parte che sta sostenendo (e cioè il governo di al-Sarraj contro Haftar); dall’altro, invece, significa che avrà meno peso per le questioni sull’immigrazione e per i contratti energetici (tra cui quelli relativi ai pozzi gestiti da Eni). Se verranno trovati altri pozzi, inoltre, la Turchia avrà molto potere.

Il vero problema per l’Italia è legato al fatto che bisognerà prendere una posizione sulla Turchia. Che è poi lo stesso problema che ha l’Ue: Erdogan è un alleato o un rivale? Riteniamo le sue azioni legittime oppure no? Per la Francia è già un paese rivale, ma per la Germania e l’Italia resta ancora il dubbio. Situazione dalla quale, innegabilmente, la Turchia sta traendo vantaggio. Qualunque sarà la risposta, una base turca a pochi chilometri vuol dire già perdere buona parte dell’influenza che abbiamo in Libia. Ma, in definitiva, l’epilogo era già segnato dalle mosse e dagli accordi dei mesi precedenti».

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