Referendum, Repubblica si schiera: il fronte del No al taglio dei parlamentari incassa un punto

A un mese dalla consultazione sul taglio dei parlamentari cresce il numero di coloro che si oppongono, spiegando le proprie ragioni. Un dibattito però totalmente assente mentre l’iter di approvazione andava avanti indisturbato

«L’opinione del nostro giornale è contraria ad un referendum privo di una cornice di riforma». A un mese dal referendum confermativo sul taglio dei parlamentari il primo grande giornale italiano si schiera. Con un editoriale del direttore Maurizio Molinari la Repubblica ha scelto il fronte del No.


Dettagliato e puntuale l’elenco delle criticità attribuite al provvedimento così come è stato disegnato: taglio lineare «privo di una cornice di riforma costituzionale»; nessuna revisione delle funzioni del Parlamento che rischia di innescare difficoltà e impasse; collegi più grandi dove la disponibilità di risorse economiche sarà determinante, con conseguente penalizzazione delle minoranze; risparmi risibili pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana; funzione strumentale del referendum che servirebbe solo a ridar fiato al populismo italiano, che vede Lega e M5s in affanno, per diverse ragioni e lungo diversi sentieri, dal 2018 ad oggi.


Le notizie, a ben vedere, sono due: la prima è che una grande testata del calibro di Repubblica si sia schierata in modo chiaro, netto, aprendo probabilmente la strada ad altre, come accade in questi casi. La seconda è che, a un mese dalla consultazione, abbiamo finalmente scoperto che esiste un fronte del No.

Troppo tardi forse

Dopo mesi di stasi dove coloro che erano, fin da principio, contrari a un taglio dei parlamentari fatto in questo modo, hanno sonnecchiato o al massimo bofonchiato, ecco che a un mese dal referendum qualcosa si muove. Il fronte del No si allarga, c’è finalmente un serio contraddittorio, un dibattito pubblico, una analisi approfondita scevra da slogan e semplificazioni.

Dibattito che, durante l’iter di approvazione della riforma non c’è stato. Due giorni fa si sono schierate contro anche le Sardine. L’incipit del loro post su Facebook è illuminante: «Parlare del referendum fa paura, ma non possiamo tacere». Fa paura come ha fatto paura mentre la legge di riforma proseguiva indisturbata, passo dopo passo, il suo iter in Parlamento, quasi come se il taglio fosse un destino ineluttabile, non argomentabile per la forza dei simboli con cui veniva portato avanti: “la casta”, “le poltrone”, “gli sprechi”. Troppo impopolare dire “no al taglio delle poltrone”. Troppo impopolare se si scende sul terreno della cieca semplificazione, forse meno se si ha il coraggio di scendere nei dettagli di una analisi seria.

Ma questa riscossa del No, quasi all’ultimo momento, suona un po’ come una battaglia disperata. Manca, forse, il tempo per spiegare e far comprendere le ragioni di un diniego, vista anche la difficoltà della materia. Un No che in questa forma, e con questi tempi, assume più i contorni di un vecchio sistema che resiste, riluttante al cambiamento. Argomento che può benissimo (e già lo è) essere utilizzato da chi sostiene il Sì. Prova ne è la risposta del pentastellato Stefano Buffagni alle Sardine: «Loro amici dei Benetton, noi degli italiani. Loro per la difesa delle poltrone, noi per tagliarle!».

Foto in copertina: ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

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