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La storia di Antonio Saetta è diventata un film. Chi era il primo magistrato giudicante ucciso da Cosa Nostra

29 Agosto 2020 - 08:54 Redazione
Alla produzione del film ha partecipato anche il magistrato Antonino Di Matteo che nel 2003 è arrivato a una sentenza che ha tracciato esecutori e mandanti del delitto

C’è una storia di mafia rimasta in soffitta per moltissimo tempo. Una storia praticamente sconosciuta al grande pubblico. Una storia che risulta nelle cronache di chi con la mafia ci fa i conti tutti i giorni, per lavoro. I protagonisti sono Antonino Saetta e suo figlio Stefano. Il primo è stato Presidente della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo. Aveva 65 anni quando, con il figlio 35enne, è rimasto vittima di un agguato di Cosa nostra, teso lungo la strada statale 640 nella notte del 25 settembre 1988. Oggi, 29 agosto, questa vicenda sarà presentata in anteprima – fuori concorso – alla 50esima edizione del Giffoni Film Festival (25-29 agosto). Si intitola L’Abbraccio. Storia di Antonino e Stefano Saetta ed è il documentario scritto e diretto dal giornalista Davide Lorenzano, prodotto da Cristian Patanè per Bridge Film e interpretato da Gaetano Aronica.

Il titolo deriva da «un particolare che non conoscevo», racconta Lorenzano. «Si tratta del gesto che il padre compie nei confronti del figlio, poco prima che vengano uccisi, per fargli da scudo e proteggerlo, simbolicamente. Ho pensato che in quel dettaglio fosse racchiusa ogni cosa». Antonino Saetta è stato il primo magistrato giudicante ad essere assassinato dalla mafia. Non solo: è stato, al tempo, colui che aveva emesso le sentenze dei processi per gli omicidi del magistrato Rocco Chinnici e del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Ed è uno dei giudici che avrebbe dovuto presiedere l’appello del famoso Maxiprocesso – il più grande processo mai istituito nei confronti della mafia.

Per ricostruire la vita del giudice col nome da supereroe, ci ha pensato proprio Lorenzano. «Non è stato facile, perché il puzzle era pieno di pezzi mancanti, soprattutto sulla vita privata del magistrato. A volte mi sono trovato nell’impossibilità di aggiungere tasselli. Come quando sono andato a cercare la testimonianza di un amico storico del giudice: arrivo a casa sua, e scopro che era morto da pochissimo. Un buco nell’acqua che mi ha costretto a ricominciare da capo. Per quanto riguarda la vita professionale dell’uomo, sono andato a scartabellare in tantissimi archivi di giornali. Il posto in cui mi sono imbattuto nel maggior numero di documenti e fotografie è stata la redazione del Secolo XIX».

BRIDGE FILM | La locandina del film

Tra le testimonianze portate sullo schermo, c’è quella del pm Antonino Di Matteo: quello dell’eccidio Saetta sarà il suo primo processo di mafia. Il fatto che Di Matteo abbia dato il suo contributo alla lavorazione del film «è una cosa importantissima: il giudice è infatti riuscito ad arrivare a una sentenza – nel 2003 – che ha tracciato linee precise. Con quel processo si è perfettamente stabilito chi fossero i mandanti e gli esecutori di quel duplice omicidio», spiega Lorenzano. Che poi aggiunge: «In un Paese come il nostro non è una cosa banale né scontata».

BRIDGE FILM | Antonino Di Matteo all’epoca del processo

A quanto pare ricette per sconfiggere del tutto il fenomeno mafioso, in Italia, non ce ne sono ancora. Però Lorenzano di una cosa è certo: «Sarebbe troppo scontato dire che è qualcosa che va contrastato, non basta. Bisogna fare, senza perdersi in chiacchiere e proclami ufficiali. Fare, anche in silenzio, senza cercare le luci della ribalta. Credo sia giusto ricordarlo anche a chi, nello Stato, parla in un modo ma poi si scopre agire in un altro. Ed è per questo che era giusto fare questo film».

In copertina: COURTESY OF BRIDGE FILM| Antonino Saetta in una foto di famiglia

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