Coronavirus, i numeri in chiaro. Il professor Tizzoni: «Tracciamento fuori controllo e test in ritardo: bisognava avere un piano già a giugno»

di Giulia Marchina

Per il ricercatore, i numeri diffusi dalla Protezione civile sono al ribasso: «Molti casi di infezione non riusciamo a rintracciarli, ce li perdiamo». E ancora: «È mancata la pianificazione, stiamo rincorrendo l’epidemia»

Sale ulteriormente la curva dei contagi da Coronavirus in Italia. Secondo i dati riportati dal bollettino della Protezione civile e del ministero della Salute, nella giornata di oggi, 24 ottobre, i contagi registrati sono stati 19.644 (contro i 19.143 di ieri). I casi totali di Covid su tutto il territorio nazionale, da inizio pandemia, raggiungono così quota 504.509. Sono 177.669 i tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore, numero più basso dei 182.032 del giorno precedente. Il totale dei test analizzati, da quando è iniziato il monitoraggio, ammonta a 14.492.122. Sul report sono stati registrati anche 151 decessi e 1.128 persone in terapia intensiva (+79). Come spiega il ricercatore della Fondazione Isi, Michele Tizzoni, «numeri così ce li aspettavamo».


Professore, i dati che arrivano erano già nei calcoli?


«Assolutamente, però attenzione: sono numeri che arrivano da persone contagiate già tempo fa. Chi studia la materia sapeva a inizio settembre che con la riapertura delle scuole, la ripresa dell’attività lavorativa, la direzione dell’epidemia poteva cambiare rispetto ai mesi estivi, quando la situazione era comunque statica, senza grosse oscillazioni».

Sembra che il sistema sanitario abbia perso il controllo del fenomeno.

«È proprio così. L’attività di tracciamento è assolutamente fuori controllo. I test che vengono fatti, e poi processati, viaggiano in ritardo rispetto al reale andamento del virus. Noi stiamo rincorrendo la pandemia».

Ma se i numeri erano prevedibili, perché non ci si è preparati a dovere per affrontare questa nuova, prevedibile, fase della pandemia?

«Perché è mancata una grossa capacità di pianificazione. Per anticipare la seconda ondata, bisognava programmare tutto già prima di settembre, quando la curva epidemiologica ha cominciato ha virare verso l’aumento esponenziale di casi».

E cioè quando?

«Tra giugno e luglio. Invece abbiamo rimandato, con ottimismo – che si è rivelato cattivo consigliere -, perché il numero di casi era stabile, perché le terapie intensive erano di poche unità e perché la percentuale tra casi testati e casi positivi era sotto la soglia del 3%. Ora invece ci ritroviamo al 15%».

A proposito del Dpcm annunciato: le misure di Conte e i suoi, secondo lei, sono in ritardo rispetto all’andamento epidemico?

«Sì».

Quanto pesa il ritardo in una circostanza simile?

«In casi come questi, i ritardi, anche di pochi giorni, con una crescita così rapida, pesano enormemente. Anche perché il numero reale di persone infettate non è quello che leggiamo sul bollettino ufficiale, ma è certamente più alto, nonostante non possa fare una stima. Abbiamo capito che in una settimana i contagi raddoppiano, ma non riusciamo a vederli tutti, molti ce li perdiamo».

Cosa si aspetta?

«Almeno per questa settimana, con il nuovo Dpcm, non penso ci sarà un’inversione di tendenza. E se l’incapacità di testare aumenta nel tempo, la situazione peggiorerà, è fisiologico. Soprattutto, quando la quantità di test effettuabili in una giornata avrà raggiunto il punto massimo di saturazione, sarà il momento in cui vedremo sempre lo stesso numero giornaliero di contagi: sappiate che, in quel caso, il numero sarà comunque più alto di quello ufficiale».

Quando ci sarà una svolta a suo avviso?

«L’informazione che ci dirà che gli interventi messi in atto dal governo servono davvero è quando avremo la percentuale tra test e contagi che comincia a scendere. Fino ad allora la curva non farà altro che salire. La stessa cosa vale per i decessi e le terapie intensive: sono due aspetti che seguono di pari passo le infezioni. A farla breve: maggiori saranno le infezioni, maggiori saranno i decessi, maggiori saranno i ricoverati nelle terapie intensive. E c’è da sperare che tutto questo ciclo non vada a saturare il sistema sanitario».

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