Tracciare o meno gli asintomatici? La lezione degli altri Paesi, dalla Cina alla Corea del Sud

di Cristin Cappelletti

Secondo Raina MacIntyre, direttrice del programma sulla biosicurezza del centro di ricerca Kirby, è impossibile controllare la pandemia tralasciando le persone senza sintomi. Se il tracciamento fallisce? «L’unica soluzione è il lockdown»

A metà luglio il centro europeo per il controllo e la prevenzione di malattie (ECDC) della Commissione europea ha chiesto a 57 Paesi Ue e non di condividere le loro modalità di test a tappeto per contrastare il Coronavirus. Di questi solo 26 hanno risposto. E di questi sono solo 6 quelli che hanno avviato un piano di test di massa anche tra le persone non sintomatiche: Danimarca, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo e Regno Unito.


In Italia, che non compare tra i Paesi che hanno dato una risposta a Bruxelles, il sistema di tracciamento è in difficoltà. Il controllo dell’epidemia è fuori controllo. Per questo, prima dell’uscita dell’ultimo dpcm, le Regioni hanno chiesto al governo di riorganizzare l’attività di contact tracing per riuscire a isolare almeno i focolai familiari e continuare a testare le persone con sintomi. Una richiesta negata dall’esecutivo che, però, non trova una risposta univoca nel mondo scientifico.


Secondo il fisico dell’università La Sapienza Enzo Marinari, tra i 100 firmatari dell’appello a Mattarella e Speranza per misure più severe, il via libera del governo sarebbe una «resa». Mentre per l’epidemiologo Donato Greco, ad esempio, se non si riesce a fare tamponi a tappeto allora meglio concentrarsi su un tracciamento più mirato «ma senza arrivare a farli solo a chi è asintomatico».

Il rapporto tra tamponi e casi positivi dice che il sistema di contact tracing è fuori controllo. Ma rinunciare al tracciamento dei casi asintomatici, o pre-sintomatici, costituisce «un azzardo perché il rischio di infezione è molto più alto prima della comparsa dei sintomi», spiega a Open Raina MacIntyre, docente di Biosicurezza globale e a capo del programma per la biosicurezza dell’istituto australiano di ricerca Kirby.

Test di massa in Cina e Australia

A fine settembre, lo Stato australiano di Victoria ha avviato una campagna di test di massa che ha coinvolto 28 mila lavoratori, in vista dell’uscita dal lockdown arrivata alla mezzanotte del 28 ottobre. L’area dell’Australia, che comprende la città di Melbourne, ha portato avanti un lockdown lungo quattro mesi e finalmente il governo sta cominciando ad allentare le misure.

La Cina, che da settimane registrava pochi, se non quasi nessun nuovo caso locale, negli ultimi giorni ha avviato una campagna di test di massa nella regione dello Xinjinag. Sabato una ragazza di 17 anni, e asintomatica, era risultata positiva al Coronavirus durante test di routine nella contea di Shufu, nella città di Kashgar. La commissione sanitaria locale ha comunicato che in quattro giorni, dopo aver fatto scattare l’allarme, gli operatori sanitari hanno testato 4,74 milioni di persone. Le autorità hanno parlato di «una corsa contro il tempo».

Il rischio del solo isolamento per gli asintomatici

Sono pochi i Paesi che hanno la capacità di testing della Cina, per questo il centro di prevenzione europeo ha chiesto ai vari Paesi di considerare, oltre ai test al tappeto, il potenziamento parallelo anche delle loro capacità di contact tracing. L’individuazione di un gran numero di casi infetti, e in molti casi asintomatici, rappresenta una sfida per le operazioni di tracciamenti dei contatti. Se le risorse sono limitate, la commissione europea suggerisce di rintracciare solo quei contatti che hanno una più alta esposizione al rischio.

«Un’altra alternativa adottata da molti Paesi è quella di mettere subito in isolamento i contatti dei casi positivi», dice MacIntyre, «ma il rischio è che molti, non essendo stati testati, possano violare la quarantena perché non sono consapevoli del rischio. Il problema è che molti dei soggetti potrebbero sviluppare l’infezione nelle due settimane di isolamento e lasciare quindi la quarantena quando sono potenzialmente contagiosi».

Uno studio svolto in Sud Corea a marzo del 2020 ha mostrato, come nel caso del Vo’Euganeo, che il 36% delle persone testate erano positive e asintomatiche. Dei 303 pazienti con il Coronavirus, 110 erano asintomatici, e 21 di questi hanno sviluppato sintomi durante l’isolamento. Se l’obiettivo di un Paese è quello di controllare la trasmissione del virus in una situazione in cui c’è un contagio diffuso, e ampio, a livello comunitario, allora il centro di controllo europeo consigliava, già a luglio, di facilitare i test volontari per la popolazione, che in alcuni Paesi sono già gratuiti. E soprattutto di testare le persone a più alto rischio di infezione, anche se asintomatiche.

Potenziare il sistema di tracciamento per allentare le misure

Durante i lockdown, quando la popolazione è soggetta a rigorose limitazioni sugli spostamenti e la vita sociale allora il sistema di tracciamento non è cruciale. È questo il periodo, però, secondo lo studio della Commissione europea sui tracciamenti di massa a cui hanno partecipato epidemiologi ed esperti da tutto il mondo, in cui va potenziata la capacità di tracing in vista dell’allentamento delle misure.

Singapore, per esempio, ha riferito come durante la chiusura i casi rintracciati erano in prevalenza contatti familiari. Prima di allentare le misure restrittive, l’Unione europea aveva consigliato ai Paesi di aumentare la copertura dei test e una solida rete di tracciamento. Il potenziamento richiede chiaramente delle risorse che, se spese per il contact tracing, potrebbero far risparmiare a lungo termine sui costi dell’assistenza sanitaria ospedaliera e avere anche un minore carico sulle terapie intensive.

La scorsa settimana il Belgio ha fermato il tracciamento dei casi asintomatici perché i laboratori sono allo stremo. Nelle prossime settimane Bruxelles si aspetta di essere travolta da uno tsunami di nuovi casi. «La scelta non è ideale», ha detto il virologo e consigliere del governo Steven Van Gucht. «Ma non possiamo pretendere l’impossibile», ha aggiunto. «Quando la capacità è insufficiente dobbiamo adattarci e vedere qual è la cosa migliore da fare». Per le persone asintomatiche ma sospettate di aver avuto contatti con positivi è stato prolungato il periodo di quarantena da 7 a 10 giorni.

Nella scorsa settimana il numero di pazienti ricoverati è raddoppiato. E con i laboratori di test sotto pressione, i periodi di attesa per avere i risultati sono molto più lunghi. Se il sistema di tracciamento fallisce, conclude MacIntyre, ed è impossibile tracciare gli asintomatici, «allora l’unica soluzione per fermare la trasmissione del virus è il lockdown».

Immagine di copertina: Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco per Open

Continua a leggere su Open

Leggi anche: