Danni collaterali – Il virus e il sogno spezzato degli studenti che lasciano le grandi città: «Sono finiti i lavoretti, ma gli affitti restano cari»

Chiamiamolo privilegio allo studio. La pandemia è anche questo, la trasformazione di un diritto acquisito in qualcosa di esclusivo ed escludente. Nei fatti, borse di studio e posticipi delle rette universitarie non possono sopperire alla perdita di un posto di lavoro per quei giovani a cui tocca studiare di giorno e lavorare di notte per mantenersi lontano da casa. Milano, ancora una volta, è un serbatoio di queste storie di coraggio, sacrifici e soddisfazioni di persone che si sono trasferite sotto la Madonnina per cercare un futuro migliore. Quest’anno, con la diffusione del Coronavirus, quel serbatoio è un po’ più vuoto. «Conosco diversi amici che hanno rinunciato. Non li ho più rivisti, a settembre, nelle aule dell’ateneo: sono rimasti al Sud perché il Nord, senza potersi mantenere con dei lavoretti, è troppo caro». Sebastiano Pala ha 22 anni e una consapevolezza molto più grande della sua età anagrafica. La sua stessa famiglia ha dovuto sottoporsi a delle privazioni per permettergli di trasferirsi a Milano e iscriversi al corso di Scienze politiche all’Università Statale. Oltre allo studio, «pratico vari sport, lavoro e sono impegnato nella politica universitaria», racconta fiero del suo percorso.


L’impronta dei fuorisede

Sebastiano, tre anni fa, ha lasciato la Sardegna. Come lui, tanti giovani in Italia seguono la rotta Sud-Nord per dare una svolta alla propria vita. Solo a Milano, sono quasi 150mila gli studenti universitari fuorisede. Il valore dell’indotto legato al loro trasferimento nel capoluogo meneghino supera il miliardo di euro, tra ricavi per gli affitti, stimati in 800 milioni di euro circa, e consumi in ristoranti, negozi, librerie, supermercati. Questa enorme bolla, fatta di speranze e valigie cariche di vestiti e sottaceti della nonna, però, è scoppiata. Se è sceso il potere di acquisto di molte famiglie che, durante la pandemia, hanno visto ridursi le proprie entrate economiche, non si è abbassato invece il prezzo di locazione dei monolocali, delle stanze singole, doppie o triple che siano, dove gli studenti si arrangiano pur di studiare negli atenei lontani da casa. Per questo il diritto allo studio nell’università di elezione è diventato un privilegio. «Dopo essere stato il primo anno ospite dei miei zii, sono riuscito a trovare una stanza relativamente economica: pago 400 euro al mese in zona piazzale Lodi, prezzo fortunatamente sotto gli standard milanesi».


«Guadagno 100 euro al mese, per mangiare pane e formaggio»

Sebastiano ha dovuto cercare un lavoro per pagarsi quell’affitto. «L’avevo trovato nel circuito dei servizi sociali. Poi è arrivata la pandemia». Gli operatori più giovani all’interno della comunità sono stati lasciati a casa, «ma il mio contratto era ancora in corso e, anche se venivo pagato per le ore effettive di lavoro, quindi nessuna, non ho potuto chiedere alcun sussidio». La batosta economica è arrivata quando proprio quando Sebastiano stava dando gli ultimi esami prima della laurea: «È stato un duro colpo dal punto di vista psicologico. Con il lockdown, vivevo chiuso in una stanza che non potevo più pagarmi. Sono tornato in Sardegna appena ho potuto, per rimettermi in sesto». Dopo l’estate, il 22enne ha deciso di ritornare a Milano anche grazie al lavoro nell’assistenza sociale che, gli avevano assicurato, sarebbe ripreso a pieno ritmo. «Non mi aspettavo un secondo lockdown e, quindi, una ricaduta nel baratro». Le ore di lavoro sono diminuite drasticamente e Sebastiano riesce a guadagnare quasi 100 euro al mese, «mi bastano per fare un minimo di spesa e mangiare pane e formaggio». Il senso di colpa di gravare sulle finanze famigliari, «mio padre è una partita Iva e le sue entrate si sono ridotte considerevolmente», lo accompagna ogni sera.

Il rischio di un Natale lontano da casa

Lo studente lamenta anche la dose di incertezza causata dalla poca chiarezza, a livello politico e universitario, sulla tipologia di didattica – solo a distanza o mista – degli atenei da qui ai prossimi mesi. «Non so se riuscirò a tornare a casa a Natale – aggiunge rammaricato -. Quei pochi biglietti aerei di continuità territoriale, lievemente scontati, finiscono subito». Sempre che le norme anti-contagio lo consentano, «potrei non permettermi di sostenere il costo del viaggio di andata e ritorno per passare le festività con la famiglia». Nonostante ciò, Sebastiano non vuole mollare. Ha deciso che farà la magistrale di Sociologia sempre a Milano, «perché credo in questa città e nelle sue opportunità», ma si sta già preparando al possibile prosieguo delle restrizioni. «È più che un’ipotesi, sto pensando seriamente di fare il rider, un lavoro che non si è mai fermato nonostante il lockdown. Sono venuto a Milano per studiare, però per me è impossibile farlo senza guadagnare il necessario per sopravvivere». Sebastiano racconta che molti colleghi fuorisede che ha conosciuto in questi anni non sono più tornati in città per ragioni economiche, «per risparmiare sull’affitto».

Sebastiano Pala, 22 anni

«È triste dover rinunciare a un sogno per questioni prettamente economiche, inasprite dalla pandemia. Il sogno di Milano, per molti, si è spezzato». Per Sebastiano no, e c’è una ragione che lo spinge con determinatezza a cercare ogni occupazione possibile: «Mia sorella sta finendo il liceo. Vorrebbe anche lei fare l’università fuori dalla Sardegna. La sua scelta, purtroppo, sarà influenzata da ragioni economiche perché mantenere due figli fuori casa, per la mia famiglia, è impossibile. Solo se io troverò un lavoro abbastanza remunerativo potrò permettere a mia sorella di partire da Cagliari e inseguire il suo sogno».

Ogni lavoro possibile pur di restare, ma non è bastato

Nel capoluogo lombardo, da un’altra grande isola, la Sicilia, è arrivata Michelle Recupero. Ha 21 anni e si è lasciata alle spalle la provincia di Catania «perché da bambina sono sempre stata attratta da Milano». Ha iniziato il terzo anno del corso di Filosofia della Statale. «Se non avessi avuto il posto letto nella residenza universitaria e non avessi vinto la borsa di studio, non mi sarei potuta trasferire», premette. Nonostante le agevolazioni, «devono passare dei mesi prima che vengano effettivamente erogate, e intanto a Milano ci devi vivere», ha dovuto cercare dei lavoretti per sopravvivere. L’esperienza occupazionale accumulata in soli due anni è tantissima. «Ho fatto un po’ di tutto», dice sorridendo, e inizia l’elenco di lavori svolti: «Sono stata banconista e promoter a Rho Fiera, animatrice di bimbi al McDonald’s, modella per servizi fotografici, hostess di eventi sportivi». Poi, la pandemia ha colpito anche le sue chance di restare a Milano. O meglio, si trovava in Sicilia quando è stato annunciato il primo lockdown, «ma quando sono stati riaperti i confini regionali ho perso il lavoro da McDonald’s – prende una pausa – e anche il fidanzato, che mi ha mollato».

Michelle Recupero, 21 anni

La vicenda sentimentale è stata superata con successo. Reinserirsi nel mondo del lavoro non è stato altrettanto facile. Michelle racconta di come si è reinventata al rientro al Nord, nel mese di settembre. «Con le dovute cautele, perché sono immunodepressa, ho iniziato a posare per alcuni fotografi e a lavorare come hostess». Suo malgrado, dopo un mese in cui tutto sembrava andare per il verso giusto, la seconda ondata le ha fatto perdere anche queste occupazioni, «interrotte perché lavori non essenziali». Michelle è stata costretta a tornare in Sicilia: senza lavoro, non ce la fa a vivere a Milano. «La borsa di studio annuale è di 2.000 euro, dai quali devo sottrarre già i 250 euro mensili per la stanza nella residenza. Ho dovuto chiedere l’aiuto dei miei genitori e, di colpo, è scomparsa l’indipendenza che mi ero difficilmente conquistata». Anche suoi padre e sua madre hanno avuto difficoltà lavorative a causa del Covid, «e seppur non mi lasciano morire di fame, non navigano certo nell’oro. Ecco, la scelta di restare in Sicilia per il momento è obbligata: sarei un peso economico troppo grande per loro se vivessi a Milano. Non ce lo possiamo permettere – sospira -, quindi mi tocca rinunciare a stare nella città che avevo scelto per studiare, lavorare, vivere».

Una riduzione del 10% nelle iscrizioni di settembre

In-Domus, società di emanazione di Fondazione Cariplo, gestisce tre campus studenteschi nel cuore di Milano. Ogni anno, sono più di mille i giovani che si trasferiscono in queste strutture: «Non c’è dubbio che l’afflusso di fuorisede in città, lo scorso settembre, sia diminuito. Alcuni rettori mi hanno parlato di un 10% di contrazione nelle iscrizioni – spiega Pierenrico Maringoni, amministratore delegato di In-Domus -. Ma sono orgoglioso di dire che ci sono realtà come la nostra che sono riuscite comunque ad avere ottimi numeri in termini di ricezione. Per gli studenti, Milano è un’idea. E non si ferma del tutto, nonostante le porte delle facoltà restino chiuse». Maringoni segnala che anche nei tre campus che gestisce sono emerse situazioni di inedite difficoltà economiche causate dall’emergenza sanitaria. «Siamo intervenuti in vari modi – spiega, abbiamo offerto delle agevolazioni temporali per i termini di pagamento e restituito il 30% dell’affitto delle mensilità del lockdown». Maringoni imputa la rinuncia di parte dei fuorisede a trasferirsi a Milano, quest’anno, «al fatto che le università, salvo poche eccezioni, fin dall’inizio non hanno dato sicurezze riguardo alla didattica in presenza. Questo ha determinato – conclude – che chi è residente a Milano è rimasto a Milano a studiare. Chi sarebbe stato un fuorisede, tendenzialmente, non ha avuto alcun incentivo a compiere il passo del trasferimento».