Coronavirus, i numeri in chiaro. Sebastiani: «È rischioso riaprire senza un tracciamento che funzioni»

di Valerio Berra

Oltre al picco dei contagi, superato a metà novembre, negli ultimi giorni sono stati superati altri due picchi della seconda ondata: quello delle terapie intensive e quello dei ricoveri in reparti ordinari. Per arrivare al picco dei decessi invece bisogna ancora aspettare

Anche se con circa 50mila tamponi in meno, i numeri dei nuovi contagi da Coronavirus confermano uno schema sempre più chiaro: le misure degli ultimi Dpcm stanno davvero funzionando. Nelle ultime 24 ore i nuovi casi registrati sono stati 20.648, ieri erano 26.323, il giorno ancora prima 28.352. E il matematico Giovanni Sebastiani, per la nostra rubrica Numeri in chiaro, parla proprio di «picco superato».


Al netto del calo dei tamponi nei fine settimana, i numeri dei nuovi contagi continuano ad abbassarsi.


«Sì, dal 15 novembre la percentuale dei positivi sui casi testati sta scendendo. Fino a pochi giorni fa sembrava che il crollo fosse più rapido ma era solo un calo iniziale, ora comincerà una lunga fase di discesa. Se non verranno modificate troppo le misure restrittive».

Quando
abbiamo registrato il picco dei ricoveri?

«Per adesso possiamo parlare di due picchi raggiunti. C’è quello dei positivi sui nuovi casi testati che è arrivato attorno al 15 novembre e quello dei ricoverati in ospedale e delle terapie intensive. Questo invece è arrivato tra il 23 e il 24 novembre».

E
per i decessi quanto dovremmo aspettare?

«Ancora una o due settimane. L’incremento settimanale, ancora in aumento, sta decelerando ma per vedere un risultato consistente sui numeri dobbiamo aspettare ancora. E poi, dipende da regione a regione. In questo caso le curve dei dati mostrano scenari molto diversi».

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Quali
scenari?

«Non è semplice da spiegare. Proviamoci. Se confrontiamo le curve delle ultime settimane con quelle di marzo, vediamo, ad esempio, che Lombardia, Piemonte, Veneto e Campania sono nello stesso ordine. La curva della Lombardia ora si è abbassata, mentre le altre curve si sono alzate. L’omogeneizzazione della circolazione del virus avvenuta con le vacanze estive ha avuto una controparte anche sui decessi purtroppo.

Il fattore principale che spiega la variabilità tra le curve di mortalità delle diverse regioni è proprio l’incidenza. Le regioni in cui la curva dell’incidenza è più alta sono anche le regioni in cui la curva della mortalità è più alta. Però c’è qualcosa di diverso. Nell’ultimo periodo, Lombardia e Piemonte hanno curve d’incidenza quasi uguali e lo stesso vale per le curve di mortalità. Il Veneto ha una curva di decessi più marcata rispetto alla Campania, anche se la curva dei contagi è uguale».

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A
cosa è dovuto?

«Non è chiaro. Potrebbe essere solo una ragione demografica: la popolazione del Veneto potrebbe essere mediamente più anziana di quella della Campania. Ma per capire questo bisognerebbe avere a disposizione un altro tipo di dati. Quelli che abbiamo visto ora non bastano a darci una risposta».

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La Lombardia passerà a zona arancione. E con lei anche altre Regioni. Scelta affrettata?

«Vorrei sapere tutti i dettagli dell’algoritmo che hanno usato. Però certo, se si sono dati un metodo e lo stanno seguendo, riaprire parzialmente delle regioni mi sembra una conseguenza corretta. Quello che mi chiedo è un’altra cosa. Cosa succederà se non riusciremo più a tracciare i contagi? Sei io tolgo il freno e riapro senza tracciamenti, rischio che riparta tutto. Spero che questo parametro, anch’esso considerato nei famosi 17, svolga un ruolo prioritario ».

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