Con la fine del periodo di transizione durato fino al 31 dicembre 2020 e l’accordo commerciale per regolare i rapporti, il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione europea avviato dopo il referendum del 23 giugno 2016 è giunto a compimento, la Brexit è una realtà. Gli effetti del divorzio tra le due sponde della Manica possono essere individuati solo in parte. Nelle 1246 pagine dell’accordo di separazione sono presenti allegati, note e dettagli che riveleranno tutti i loro risvolti solo nel medio e lungo periodo. Nel frattempo, proviamo a ricapitolare i punti salienti dell’accordo.
Commercio trans-frontaliero, cosa cambia per le aziende?
L’accordo garantisce che la maggior parte delle merci scambiate tra Unione europea e il Regno Unito non siano sottoposte a dazi o quote. Tuttavia, gli esportatori dovranno affrontare una serie di ostacoli normativi che renderanno più gravoso fare affari. Le aziende britanniche dovranno anche certificare l’origine delle loro prodotti, e sono previsti dei limiti sulla proporzione di manufatti con parti pre-assemblate all’estero. Il commercio tra le due sponde della Manica continuerà come prima, ma torneranno i controlli alle dogane. Tutti i prodotti esportati nell’uno e nell’altro mercato dovranno essere conformi alle normative tecniche richieste, e per questo saranno soggetti a qualsiasi verifica e controllo di conformità.
Il governo britannico schiererà altri 1.100 funzionari per i controlli doganali e dell’immigrazione. Nello scenario peggiore, si paventano migliaia di camion imbottigliati sulle autostrade inglesi che conducono a Dover e agli altri porti. Per molte aziende adattarsi al nuovo regime significa subire un aggravio dei costi. Ogni impresa dovrà individuare quanto prima i dettagli che la riguardano direttamente, e mettersi in regola. Molte aziende italiane che commerciano oltremanica sono piccole realtà legate a settori di cibo e bevande. Anche se non è il caso di essere pessimisti, sono possibili degli effetti negativi sulle esportazioni dei prodotti Made in Italy.
Parità di condizioni e mediazione delle controversie
Questa è stata una delle parti più spinose della trattativa. Entrambe le parti si sono impegnate a sostenere i propri standard di trasparenza ambientale, sociale, fiscale e delle condizioni di lavoro per assicurarsi che non entrino in competizione danneggiandosi a vicenda. Le parti non potranno fornire aiuti di Stato in forma illimitata per coprire passività o debiti societari, e saranno obbligate a divulgare tutte le sovvenzioni che concedono. Londra dovrà continuare a rispettare il diritto comunitario, che non consente di salvare un’impresa in via fallimento senza un piano di ristrutturazione, o aiutare una banca in dissesto oltre il minimo indispensabile a liquidare le posizioni.
Tuttavia il Regno Unito non è obbligato a irrigidire le sue regole di pari passo con quelle dell’Unione europea. In caso di divergenze è previsto un meccanismo di riequilibrio: entrambe le parti potranno reagire introducendo tariffe nei confronti dell’altra. Le misure di ritorsione però dovranno essere proporzionate, e saranno soggette all’arbitrato di un collegio indipendente, non dalla Corte di Giustizia europea (una priorità del Regno Unito).
L’arbitrato per i contenziosi
Per risolvere le controversie e gestire l’accordo tra Ue e Regno Unito si è deciso di istituire un Consiglio di partenariato. Sarà presieduto da un membro della Commissione europea e da un rappresentante del Regno Unito scelto tra i ministri. Si riunirà solo su richiesta di una delle parti, ma è previsto almeno una riunione formale all’anno.
Servizi e finanza, cosa succede alla City di Londra?
L’accordo offre poca chiarezza sulla regolamentazione dei servizi e della finanza, punta di diamante della capitale del Regno Unito. Le parti hanno formulato una dichiarazione comune a sostegno della cooperazione rafforzata in materia di supervisione del settore finanziario, l’obiettivo è concordare un memorandum d’intesa entro marzo ma potrebbe volerci molto più tempo. Il settore dei servizi è la quota più rilevante di forniture del Regno Unito verso l’Ue, con la City di Londra a farla da padrone.
Il sogno britannico è fare di Londra una Singapore sul Tamigi con cui imporsi nel resto del continente. Per l’Ue invece è necessario garantirsi che l’Inghilterra post-Brexit non diventi un’area che fa della deregolamentazione un asset competitivo. Nel frattempo, molte società della City sono corse ai ripari trasferendo parte delle attività e degli staff in Paesi dell’Ue. Nella redistribuzione sembra essere Dublino a farla da padrone (anche la lingua inglese è un asset), seguita da Lussemburgo, Francoforte e Amsterdam.
In generale, le aziende di Londra stanno aprendo sedi distaccate in diverse città. Nell’aria non c’è la creazione di un nuovo hub finanziario europeo destinato a prendere lo scettro della City, ma piuttosto la creazione di una rete integrata di poli finanziari distribuita in alcune parti dell’Unione. Con il cuore e lo sguardo ancora rivolto verso Londra. Forse non ci sarà una Singapore sul Tamigi, ma di sicuro ci sarà ancora una City of London.
Il Regno Unito utilizzerà le libertà normative a proprio vantaggio?
Su questo non ci sono dubbi, il Regno Unito utilizzerà il più possibile tutta la libertà normativa possibile rimasta a sua disposizione, e lo farà fin da subito. Il caso dell’approvazione dei vaccini Pfizer-BioNTech e AstraZeneca in anticipo rispetto alle procedure dell’Ema è emblematico di quello che potrebbe accade in altri settori. Per i britannici l’opportunità principale offerta dalla Brexit è riavviare il proprio modello economico sulla base dell’innovazione, sfruttare la libertà normativa per fare degli scatti in avanti in settori d’avanguardia, come il fintech, l’intelligenza artificiale, l’alta tecnologia in settori come la difesa e la medicina di prossima generazione.
Non è un caso se il Regno Unito è rimasto nel programma per la ricerca e sviluppo europeo Horizon. L’impatto economico della Brexit sarà la differenza tra i guadagni incerti che derivano dalle nuove libertà e le perdite prevedibili che derivano dalle nuove barriere commerciali. La domanda da porsi è se il Regno Unito riuscirà a utilizzare le sue nuove libertà per creare un modello economico sostenibile e tradurlo in una strategia coerente.
Che succede a chi studia e vuole studiare nel Regno Unito?
Nonostante la promessa iniziale, alla fine Londra ha deciso di restare fuori dal programma Erasmus. Ai giovani britannici sarà offerto un programma alternativo, mentre per quelli europei i cambiamenti radicali vanno ben oltre. Dall’anno prossimo gli studenti dell’Unione europea che vorranno laurearsi nelle università britanniche dovranno chiedere il visto per studio, e pagare la retta universitaria senza le agevolazioni previste dalla comune cittadinanza europea. Ciò significa che le rette raddoppieranno.
Per gli studenti italiani già presenti nel Regno Unito (circa 16 mila) non cambia niente: potranno continuare a frequentare i corsi pagando la retta “agevolata” e chiedere la residenza permanente. Non è chiaro però se una volta terminato il Bachelor Degree (laurea triennale) dovranno iscriversi ai Master Degree (laurea magistrale) pagando la retta alta come tutti gli altri stranieri.
Come funziona per i viaggi turistici e l’immigrazione?
Per i turisti non cambia molto, per viaggiare nel Regno Unito sarà necessario il passaporto (prima bastava la carta d’identità) e si potrà restare nel territorio britannico solo fino a tre mesi, ma a parte questo non ci sono grosse complicazioni. Le autorità britanniche però saranno sicuramente più attente e severe nei confronti di chi proverà a cercare lavoro in UK entrando da turista. Infatti, dal 1° gennaio scatta il nuovo sistema d’immigrazione a punti, paragonabile a quello australiano. Per trasferirsi nel Regno Unito sarà necessario avere un visto dai parametri stringenti.
Le nuove norme prevedono che i cittadini dell’Ue facciano una richiesta di visto da valutare sulla base di un sistema a punti. Il meccanismo è rigoroso, quasi il 40% dei punti dipende dall’avere un’offerta da un datore di lavoro britannico, e un altro 18% dal fatto che lo stipendio superi le 25.600 sterline l’anno (circa 27.822 euro). Il tutto con un costo tra 1.300 e i 2.300 euro che include i contributi al servizio sanitario. Anche scegliere di andare a lavorare a Londra per migliorare l’inglese non sarà più facile come una volta: tra i parametri per avere il visto infatti c’è la conoscenza avanzata dell’inglese.
Sono invece previste agevolazioni per chi avrà accesso a un dottorato di ricerca (specialmente in materie scientifiche), sia che si tratti di una persona già residente che un esterno. Per i cittadini italiani già residenti (circa 700 mila persone) in teoria è più semplice ottenere il permesso di soggiorno, ma l’esito positivo non è assicurato. Gli italiani possono fare richiesta per la residenza permanente (settled status), ma per averla dovranno dimostrare di aver vissuto in UK per almeno cinque anni. Chi non arriva a cinque anni, può chiedere la pre-residenza (pre-settled status) in attesa di maturare i cinque anni necessari a chiedere lo status definitivo.
Cosa succede al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord
Era uno dei punti più spinosi del negoziato, che andava a inserirsi in un conflitto storico e nell’Accordo del Venerdì Santo. Bruxelles e Londra dovevano trovare un modo per mantenere un confine libero aperto tra Irlanda del Nord e Irlanda. Il nodo è stato risolto con un accordo che prevede un protocollo speciale. Secondo il Withdrawal Agreement, entrato in vigore già a febbraio di quest’anno, il Regno Unito è fuori dall’unione doganale dell’Ue e l’Irlanda del Nord sarà parte di tutti i futuri accordi commerciali britannici (come quello siglato con la Turchia).
Ciò nonostante, il territorio nord-irlandese si distingue dall’isola della Gran Bretagna, in quanto adotta le regole del mercato unico dell’Ue sui prodotti (inclusa l’Iva) al fine di prevenire un confine fisico all’interno dell’isola irlandese, rimanendo così un punto di ingresso nell’unione doganale europea. Il risultato è la presenza di un confine giuridico tra le due entità statuali dell’isola d’Irlanda, ma nei fatti inesistente, mentre il confine reale (con controlli e regolamenti) corre lungo il tratto di mare che separa l’Irlanda del Nord dall’Isola della Gran Bretagna.
L’accordo sul territorio di Gibilterra
Il destino dei 34.000 abitanti che vivono all’ombra della Rocca di Gibilterra è rimasto incerto fino all’ultimo giorno. Spagna e Regno Unito non avevano trovato un accordo sullo status di Gibilterra fino al primo pomeriggio del 31 dicembre, quando Madrid e Londra hanno finalmente raggiunto un’intesa. Ci saranno controlli alla frontiera ma gli abitanti del territorio britannico d’oltremare confinante con la Spagna godranno di libero accesso allo spazio Schengen, e i cittadini spagnoli (ed europei) potranno continuare a entrare liberamente a Gibilterra per lavorare o visitare la località.
Sono 15.000 le persone che vivono in Spagna ma lavorano a Gibilterra, e ogni anno la località viene visitata da circa 10 milioni di turisti, per lo più escursionisti spagnoli. Il fatto bizzarro è che ai britannici non residenti che si recheranno nell’enclave passando dalla Spagna, o in Spagna passando da Gibilterra, verrà chiesto il passaporto.
Perché tanti negoziati sulla pesca?
La discussione sulle quote della pesca ha occupato le ultime settimane del negoziato e tenuto gli osservatori con il fiato sospeso. Nei numeri il settore non ha un valore economico importante, ma per le comunità costiere del canale della Manica è di vitale importanza e Boris Johnson aveva fortemente politicizzato la questione per via dell’immaginario evocativo che esercita il principio del controllo delle proprie acque territoriali, specialmente se dall’altra parte c’è la Francia.
Il risultato è stato l’assegnazione agli europei di quote di pesca nelle acque britanniche fino al 25% per un periodo di cinque anni, al termine del quale (nel 2026) sarà tutto rinegoziato. Per l’Ue significa continuare ad avere un accesso alle acque britanniche, per UK significa uscire dalla politica comune della pesca dell’Ue e dare seguito al messaggio di aver ripreso il controllo del proprio mare, o meglio, dei propri pesci.
In copertina Public Domain Dedication / Garry Knight
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