L’ex ambasciatore Aragona: «Con Navalny il Cremlino si è sparato sui piedi. Ma la fine di Putin è ancora lontana» – L’intervista

Per l’ex rappresentante italiano a Mosca, il Cremlino reprimerà le manifestazioni fino a quando non sarà pronta la successione all’attuale presidente: «Il malcontento? Non è più limitato alle grandi città»

Giancarlo Aragona è arrivato a Mosca da ambasciatore italiano proprio nell’anno in cui Boris Eltsin si dimise da presidente, nominando Vladimir Putin suo successore. Da allora Putin non ha mai dovuto fare i conti con una vera opposizione, ma l’arresto del suo principale antagonista Alexei Navalny, tornato in Russia dopo cinque mesi di convalescenza in Germania per avvelenamento, ha visto scendere in piazza decine di migliaia di persone in oltre 80 città.


Durante le proteste almeno 2 mila persone sono state fermate dalla polizia. «Sono manifestazioni imponenti che lanciano una sfida e che rappresentano un atto di coraggio e trasmettono un inquietante messaggio al Cremlino – commenta Aragona, che è stato presidente dell’Ispi e ha recentemente curato l’edizione di un volume sulla Russia post-sovietica -. Il malessere non è più limitato alle grandi città e si diffonde in qualche misura anche nella Russia “profonda”. C’è un movimento di protesta che si sta allargando in maniera significativa vedendo in Navalny il proprio portabandiera».


Ambasciatore, possiamo dire che con l’arresto di Navalny il Cremlino ha fatto un autogol?

«Sicuramente si è sparato sui piedi, ma è coerente con l’approccio politico del Cremlino. Il segnale che lanciano è che non si piegano davanti a queste sfide. Sapevano benissimo che avrebbero scatenato manifestazioni e possibili sanzioni arrestando Navalny, ma non ritengono di poter mostrare cedimenti. Per questo anche le repressioni delle manifestazioni sono forti. Il segnale è: “Non cediamo alla piazza”».

Dopotutto Navalny non gode di un seguito enorme in Russia.

«Si, però è comunque in grado di mobilitare persone in 80 città, da Mosca all’estremo Oriente. I russi hanno una visione molto realista della storia: pensano che le aperture rappresentino il momento più pericoloso per i regimi, in cui non è più possibile utilizzare gli strumenti “antichi” ma neppure fare un passo troppo lungo in avanti, perché il rischio sarebbe di rimanere travolti. Inoltre, si mira ad accreditare l’idea che Navalny sia aiutato da forze ostili estere che cercano di indebolire la Russia. C’è un altro elemento poi, la Cina…».

Ovvero?

«Guardando alla Cina nei leader russi sembra consolidarsi l’illusione che si possa coniugare uno straordinario dinamismo economico con uno Stato autoritario, anche se il modello russo non potrebbe seguire quello cinese per le profonde differenze storiche e culturali dei due popoli».

ANSA/SERGEI ILNITSKY | L’oppositore russo Alexei Navalny è stato arrestato al suo ritorno in Russia, dopo aver passato cinque mesi di convalescenza in Germania a seguito di un avvelenamento

Le autorità russe sostengono che Navalny recluti seguaci tra giovaniproblematici“. È così?

«È indiscutibile che le giovani generazioni maturano più rapidamente una crescita della coscienza civile, ma c’è un vasto coinvolgimento di più ampi settori della popolazione che reclama una più genuina partecipazione politica, la fine della corruzione e un sistema economico più dinamico e aperto. La Russia viene spessa dipinta come un Paese dominato da pochi oligarchi. È anche vero, però, che la diffusione delle imprese e dell’attività economica si è allargata e che si sta consolidando una classe media imprenditoriale e professionale in tutto il Paese. Tutto questo inevitabilmente impatterà sulle dinamiche sociali e sulle interrelazioni con il potere».

Le radici delle manifestazioni dunque vanno ricercate nelle ambizioni di questa classe? Hanno una matrice economica?

«La protesta sembra indirizzarsi innanzitutto contro la carenza di democrazia che a sua volta genera corruzione e accaparramento di risorse da parte di una cricca di oligarchi. Questo è un male antico, perché gli oligarchi sono nati con la fine dell’Unione sovietica, non sono un’invenzione di Putin. Putin, quando è andato al potere, ha puntato in parte su oligarchi diversi: quelli che oggi sono i più influenti non sono gli stessi del primo decennio del post-sovietismo».

Putin è stato rieletto nel marzo del 2020 con il 77% dei voti. È davvero così amato?

«La sua popolarità è genuina, anche se è difficile giudicare se sia quella espressa dalla percentuale dei voti. Putin assicura la stabilità – è il suo slogan peraltro – e i russi hanno il culto della stabilità sociale ed economica. Si avvantaggia anche del fatto che un blocco di potere consistente lo sostiene anche per il proprio tornaconto economico. Ma la sua è una popolarità declinante, un po’ per ragioni fisiologiche, visto che sono oltre 20 anni che Putin è al potere, e un po’ perché la crescita della società civile russa esige un processo di rinnovamento. Si manifesta quindi un’opposizione crescente nelle piazze attorno a Navalny, ma che mira anche ad esprimersi nelle prove elettorali».

A proposito di elezioni, a settembre si terranno le elezioni legislative. Le manifestazioni di oggi si spegneranno nelle urne?

«Non penso che a breve ci possa essere una modifica sostanziale del contesto politico, anche se è ragionevole immaginare un calo di consensi per Russia Unita [il partito di Putin e di Dimitri Medvedev ndr]. Le manifestazioni avvengono in un momento in cui il futuro costituzionale della Russia è sospeso e le incertezze sulle intenzioni di Putin sono molte. Chi potrebbe prenderne il posto? Come si strutturerebbe una Russa post-putiniana? Tutto ciò porta a pensare che il Cremlino cercherà di mantenere la situazione sotto stretto controllo, finché non si chiariranno le prospettive della transizione. E per il momento non ci sono ancora segnali che un successore di Putin stia emergendo».

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