Coronavirus, i consigli di Burioni a Figliuolo: «Siamo in guerra: faccia come Churchill a Dunkurque»

In un intervento apparso sul Corriere della Sera, il virologo chiede al generale di trasferire i sanitari che non vogliono farsi vaccinare: «Non possono stare in prima linea»

Con il cambio della guardia voluto da Mario Draghi, la gestione dell’emergenza Coronavirus è passata nelle mani del generale Francesco Paolo Figliuolo. Una gestione che in questo momento vede in cima a tutte le priorità la somministrazione dei vaccini. Archiviate le primule, la volontà del generale dell’esercito sembra quella di utilizzare tutte le strutture disponibili, a partire dalla modalità drive-in, per espandere il più possibile la campagna. Il virologo Roberto Burioni ha scritto un commento sul Corriere della Sera rivolgendosi direttamente a Figliuolo con una serie di consigli su come affrontare la campagna vaccinale. «I sanitari che rifiutano i vaccini devono essere trasferiti Non possono stare a contatto con i pazienti. Chi rifiuta il vaccino non è un ottimo sanitario: fargli cambiare lavoro potrebbe essere un’ottima soluzione sia per lui, sia per i cittadini», dice il virologo.


E visto che di generali si parla, nel suo lungo intervento Burioni decide di usare metafore belliche. «Quando i soldati alleati si trovarono bloccati a Dunkurque – scrive Burioni – Churchill arruolò qualunque cosa galleggiasse per portare in salvo il maggior numero possibile di soldati sulle coste inglesi. Noi ci troviamo nella stessa situazione – aggiunge il virologo – da una parte, la malattia, dall’altra la salvezza. Lei faccia lo stesso, nei prossimi mesi arriveranno molti d di vaccini e la priorità assoluta è somministrarli a più persone possibili nel più breve tempo possibile, come non importa. L’importante è riuscirci».


«Pensare di vincere questo virus con 20 piani vaccinali diversi, uno per regione, è una pericolosa illusione», aggiunge Burioni che invita il generale a pensare a un piano vaccinale unico per tutto il Paese. Ma non solo. Anche «La comunicazione riguardo alla situazione della pandemia, ai pericoli, alle varianti, ai vaccini» deve essere autorevole, precisa, basata su dati solidissimi. «Non basta – conclude – dire le cose giuste, ma bisogna dirle anche nel modo giusto. Perché se le persone non sono convinte, non credono a quello che sentono, con conseguenze catastrofiche».

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