Coronavirus e crisi climatica: quale rapporto tra la pandemia e il surriscaldamento del pianeta

Alle origini del Coronavirus, come di altre malattie infettive, c’è l’interazione tra l’uomo e animali selvatici. Interazioni che sono andate aumentando nel corso degli scorsi decenni e che raccontano anche di una crisi ambientale in atto

Il cambiamento climatico e la pandemia da Coronavirus sono entrambe crisi globali che mettono a repentaglio la tenuta dell’economia e le vite di milioni di persone nel mondo. Secondo l’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms), il surriscaldamento del pianeta dovuto all’emissione eccessiva dei cosiddetti gas climalteranti causa la morte di circa 150 mila persone l’anno – un numero a cui, sempre secondo l’Oms, dal 2030 andranno aggiunte altre 250 mila persone ogni anno. Una parte di questi decessi è dovuta a eventi climatici estremi, come alluvioni, incendi, cicloni o ondate di caldo simili a quella del 2003, anno in cui l’Europa registrò un aumento della mortalità del 70%. Ma il cambiamento climatico va a toccare anche molti dei fattori sociali ed economici da cui dipende la tutela della salute, come la qualità dell’aria, dell’acqua e la biodiversità, ovvero la varietà di animali, piante, funghi e microorganismi che costituiscono il nostro pianeta. Così facendo, può alterare le catene di trasmissione delle malattie infettive, anche di malattie virali come il Coronavirus.


I cambiamenti climatici sono alla base della trasmissione del Coronavirus?

Secondo la scuola di salute pubblica dell’Università di Harvard negli Stati Uniti, «non abbiamo prove dirette che il cambiamento climatico stia influenzando la diffusione del Covid-19, ma sappiamo che il cambiamento climatico altera il modo in cui ci relazioniamo con le altre specie sulla Terra». Il nocciolo della questione è proprio questo, perché sappiamo che il Coronavirus ha avuto origine zoonotica (dagli animali), precisamente da un ceppo tipico dei pipistrelli, anche se non è ancora chiaro se ci siano stati animali intermedi nella trasmissione del virus, quanti e quali siano stati esattamente.


Dunque alla base del Coronavirus, così come di altre pandemie globali tra cui l’Ebola per esempio, ci sono le interazioni con specie di animali selvatiche. Interazioni che sono aumentate nel corso degli ultimi decenni per via dell’attività umana, sia in modo diretto – tramite attività come la deforestazione, che si verifica principalmente per scopi agricoli, o l’industria mineraria – sia per vie indirette, come nel caso delle migrazioni degli animali dovute all’aumento delle temperature terrestri. Ma, man mano che sono aumentate le interazioni, è cresciuto anche il rischio per gli esseri umani di entrare in contatto con nuovi patogeni e nuove malattie che prima coinvolgevano soltanto altre specie di animali, proprio come nel caso del Coronavirus.

Inquinamento e Coronavirus: esiste un legame?

Sono diversi gli studi che evidenziano l’esistenza di un legame tra l’inquinamento dell’aria – sia causa che conseguenza del cambiamento climatico – con i tassi di infezione e di mortalità legati al Covid anche se, come ricordano gli autori di uno studio del gennaio 2021 commissionato dal Parlamento europeo, trattandosi di una malattia relativamente recente i dati disponibili sono ancora parziali e sono complicati anche dalle misure di lockdown introdotte in tutto il mondo, che hanno avuto una ricaduta sul livello complessivo di inquinamento.

In termini generali, il rapporto tra l’inquinamento dell’aria e le malattie respiratorie e croniche (come il diabete) è assodato e sappiamo anche che persone che soffrono di queste patologie rientrano tra i soggetti più vulnerabili al Coronavirus. Più controversa è la questione della diffusione del virus. Secondo uno studio del Consiglio nazionale delle Ricerche pubblicato sempre a gennaio del 2021 realizzato con Arpa Lombardia (la Lombardia è una delle Regioni più inquinate d’Italia e anche tra le più colpite dal Coronavirus), «il particolato atmosferico non favorisce la diffusione in aria del Covid-19».

Il disgelo del permafrost e il futuro delle malattie infettive

Certo è però che il cambiamento climatico ha già creato delle condizioni più favorevoli per la diffusione di alcune malattie infettive, come quelle trasmesse dalle zanzare (malaria e dengue). I rischi non sono facili da prevedere e possono variare anche a seconda dei cambi nei livelli di temperatura e di precipitazione – condizioni che incidono sulla comparsa di agenti patogeni – oltre che sulle interazioni tra essere umani e animali (di cui sopra). Un altro problema riguarda il disgelo del permafrost, lo strato di suolo perennemente ghiacciato, a causa dell’innalzamento delle temperature globali che potrebbe risultare nel rilascio di virus e batteri antichi rimasti dormienti per millenni. A partire dal Circolo Polare Artico, dove le temperature stanno aumentando circa tre volte più velocemente rispetto al resto del mondo.

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