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La lezione dal caso Lazio, tanti vaccini ma terapie intensive piene: perché non è il momento di riaprire – Il video

01 Aprile 2021 - 07:37 Davide Gangale
Nonostante la Regione somministri in media 25 mila dosi al giorno, dovrà comunque attivare lo scenario IV per gli ospedali: tutte le strutture dovranno aumentare i posti letto ordinari e in rianimazione

Il 31 marzo nel Lazio si sono registrati 1.800 nuovi casi di Coronavirus (+207 rispetto al giorno precedente). Dalla mezzanotte del 1° aprile sono partite le prenotazioni del vaccino per chi ha 66 e 67 anni, ovvero per i nati nel 1954 e nel 1955. Ma nonostante i progressi della campagna vaccinale, preoccupa il numero dei ricoveri in area non critica e in terapia intensiva. I pazienti ricoverati sono 3.044, quelli in terapia intensiva 371. Lunedì erano 380, mai così alti dall’inizio della pandemia. La regione guidata da Nicola Zingaretti da una parte viaggia su una media di circa 25 mila vaccini al giorno – e quasi la metà degli over 80 che si erano prenotati ha completato il ciclo -, dall’altra ha deciso di attivare per la rete ospedaliera il cosiddetto “scenario IV”: in buona sostanza significa che ogni struttura – se non l’ha già fatto – entro pochi giorni dovrà aumentare la disponibilità di posti letto.

Per fare qualche esempio, il policlinico Umberto I passerà da 220 a 300 posti letto ordinari e da 40 a 48 di terapia intensiva. Il Gemelli e il Columbus Hospital arriveranno a 348 posti letto ordinari e 69 di terapia intensiva. Mentre il Policlinico Sant’Andrea dovrà passare da 40 a 110 posti letto ordinari e da 8 a 18 in terapia intensiva. Simone Bianconi, pneumologo e direttore del centro Covid dell’ospedale San Pietro Fatebenefratelli, ha raccontato ieri a Il Messaggero: «Un mese fa avevamo posti a iosa. Ora siamo pieni. Di fatto, si fanno delle scelte. Noi la terapia intensiva la riserviamo alle persone che possono avere una chance di uscirne».

Ma per quanto tempo ancora durerà questa situazione drammatica? E perché i vaccini da soli non sono sufficienti a svuotare i reparti? Secondo Giovanni Sebastiani, matematico del Cnr, questa settimana a livello nazionale verrà raggiunto il picco delle terapie intensive: «Per il Lazio non posso dire quando accadrà, ma guardando la curva dei nuovi ingressi in rianimazione da 4-5 giorni noto una diminuzione. Siamo in frenata e presto raggiungeremo il picco. Sempre che non cambino le condizioni di circolazione del virus».

GIOVANNI SEBASTIANI | Lazio, ingressi giornalieri in terapia intensiva dal 3 dicembre 2020 al 31 marzo 2021

E il nodo vero è proprio questo. Una caratteristica peculiare della terza ondata dell’epidemia, quella che si è verificata nel periodo febbraio-marzo, è infatti la sua estrema variabilità. Spiega sempre Sebastiani: «C’è purtroppo il rischio di tornare indietro molto più rapidamente di prima». Durante la prima e la seconda ondata, gli effetti delle restrizioni persistevano per un certo tempo più lungo di adesso anche dopo averle tolte. Ora, anche in un arco temporale relativamente breve, tutto può cambiare: «L’esempio emblematico è quello della Sardegna. Questo fenomeno è probabilmente dovuto alla maggior diffusività della variante Covid, quella inglese, che nel Lazio è prevalente, al momento pari a circa l’80 per cento dei casi».

Il Lazio, tra l’altro, dopo due settimane in zona rossa è appena diventato arancione e rimarrà tale fino al lockdown di Pasqua, per poi allentare nuovamente le restrizioni. Restrizioni che tra l’altro, secondo Sebastiani, vengono messe in atto sempre quando è tardi: «Se alla fine di gennaio, come avevo suggerito, avessimo adottato le stesse restrizioni del periodo di Natale, senza riaprire le scuole, avremmo potuto scendere significativamente con l’incidenza e ripristinare un efficace tracciamento dei casi. Adesso ci toccherà faticare molto di più e probabilmente con una sola azione restrittiva non ce la faremo, ne servirà almeno un’altra, anche alla luce della maggior diffusività delle varianti».

L’effetto delle vaccinazioni

I vaccini, da soli, non possono bastare per diverse ragioni. Soprattutto perché gli effetti più immediati dell’immunizzazione investono la mortalità. Infatti, aggiunge il professore, per poter aver effetti sulla circolazione del virus «i vaccini devono raggiungere percentuali molto più elevate di quelle attuali. La campagna del Lazio, rispetto ad altre regioni, sicuramente è da elogiare, sia per la percentuale di dosi somministrate su quelle fornite, sia per quelle somministrate in percentuale alla popolazione nella fascia degli over 80». Ma per avere effetti sui contagi non basta.

GIOVANNI SEBASTIANI | Lazio, i ricoveri in terapia intensiva per milione di abitanti dal 1° ottobre 2020 al 31 marzo 2021

Il modello è il Regno Unito

L’esempio da seguire, quindi, deve essere quello del Regno Unito. Sebastiani ricorda infatti come lì sia stata messa in atto la campagna di vaccinazione di massa sotto condizioni restrittive molto severe. Una scelta che ha permesso di arrivare a valori molti bassi di incidenza dei positivi e anche di vittime, pur partendo da quote molto più alte delle nostre: «Sono favorevole a misure di rigore durante la campagna vaccinale non per partito preso, ma perché se non abbassiamo la circolazione del virus aumentiamo il rischio che si generino nuove varianti resistenti ai vaccini attuali e di dover ri-vaccinare la popolazione».

Le chiusure necessarie del decreto Covid

Il professore vede quindi di buon occhio lo stop alle zone gialle fino al 30 aprile deciso dal governo. Mentre giudica in maniera fortemente negativa la scelta, che sarà valida dal 7 al 30 aprile, di garantire la didattica in presenza sull’intero territorio nazionale, anche in zona rossa, per la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la prima media: «Questa mossa purtroppo ci mette di nuovo in condizioni rischiose. Prima facevo l’esempio del Regno Unito, ma guardiamo cosa sta succedendo in Francia, dove Macron ha annunciato la chiusura delle scuole per tre settimane».

Anche per quanto riguarda il Lazio, Sebastiani è più preoccupato per la riapertura delle scuole che per il passaggio in zona arancione: «In linea di principio potrebbe influire anche l’arancione, ma l’incognita maggiore è la ripresa delle lezioni in presenza. Per tutto il Paese, parliamo di circa 9 milioni di persone che per cinque giorni su sette saranno in movimento».

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