Università, la ministra Messa: «Mi riprometto di riaprirla a ottobre, almeno in forma mista» – La videointervista

La titolare del dicastero, nell’intervista a Open, parla di come la pandemia ha inciso sulla vita degli universitari, delineando le direttrici per la ripartenza di ottobre e illustrando le priorità del suo dicastero

Ci sono studenti universitari che non hanno mai messo piede in ateneo a causa del Coronavirus. Le associazioni studentesche, entità sconosciute. I ricevimenti negli uffici dei professori, i capannelli nei corridoi aspettando di essere convocati per l’esame, seduti a terra a consumare le pagine dei libri pieni di post-it. La goliardia che scandisce i riti di passaggio, dal giorno in cui si diventa matricole a quando, con la corona di alloro in testa, ci si definisce laureati. L’università a distanza, senza le esperienze e le occasioni che si vivono fisicamente negli atenei, semplicemente non è università. La ministra Maria Cristina Messa lo sa bene: «La maggior parte della formazione deve avvenire in presenza. Questa è una caratteristica imprescindibile per l’università».


Messa è stata la prima donna a capo di un’università milanese – rettrice della Bicocca dal 2013 al 2019 – e quarta, in assoluto, in Italia. Con lei alla guida, l’ateneo ha raggiunto la parità di genere assoluta nei suoi organi di governo. «C’è un enorme lavoro da fare – dice riguardo al maschilismo nel mondo accademico -. Le donne ordinarie sono il 35% del totale. Le ricercatrici, in numero, superano i ricercatori. Ma più si sale di grado, più scende la percentuale di donne». Il 13 febbraio 2021, Messa ha giurato davanti al presidente della Repubblica, entrando a far parte del governo Draghi: è la prima donna a ricoprire il ruolo di ministra dell’Università e della ricerca, considerando il periodo in cui il dicastero è stato scorporato dal ministero dell’Istruzione.


«Le matricole dell’anno 19/20, che adesso stanno frequentando il 20/21, dovranno sicuramente frequentare il terzo anno in maniera più diretta», assicura Messa. «La cosa importante, adesso, è seguire con attenzione l’andamento pandemico e programmare la riapertura». La ministra, medico specializzato in medicina nucleare, ammette che le incertezze legate al Coronavirus non permettono di avere un piano di riapertura chiaro. E a Open preannuncia una tabella di marcia plausibile: «Se – ad aprile – scendono i contagi e aumentano le vaccinazioni, possiamo cominciare a riaprire i laboratori, le biblioteche. Riprendere i corsi in presenza è inutile perché a maggio, di fatto, terminano. Per esempio, le sessioni di laurea si potrebbero fare in presenza». Contestualmente, «dobbiamo prepararci per aprire a ottobre».

«Dobbiamo agevolare l’iscrizione degli studenti all’università. In Italia i laureati sono troppo pochi»

In Italia, solo il 19% dei 25-64enni ha un’istruzione universitaria, la metà della media delle Nazioni Ocse, pari al 37%. Le cose non vanno meglio confrontando il nostro Paese con gli altri membri dell’Unione europea. Stando alle statistiche di Eurostat del 2017, in Italia ci sono 31 studenti iscritti a corsi universitari ogni mille abitanti. La media Ue è di 39. Le cose non vanno meglio per i ricercatori: nel 2019, 6,3 italiani ogni mille occupati lavorano nella ricerca. In Germania la cifra sale a 9,9, in Francia addirittura a 11, e la media europea è di 8,9. «I laureati, in Italia, sono troppo pochi. Se agevolassimo l’iscrizione degli studenti all’università e fossimo in grado di evitare gli abbandoni, avremmo più laureati. Farebbe solo del bene al Paese, perché abbiamo bisogno di competenze», dichiara Messa.

«Gli Erasmus in Italia? Perché no!»

«Al Sud ci sono più iscritti rispetto al Nord – afferma la ministra -, ma anche più abbandoni». Esiste un divario tra gli atenei del Meridione e del Settentrione di Italia, «e per superarlo, anche in termini di migrazione dal Nord al Sud, bisognerebbe incentivare la mobilità di tutti gli studenti. Magari diversificando tra triennale e magistrale, scegliendo due università di parti diverse di Italia. Credo anche che un po’ di scambi di insegnamenti, siano essi in dad o in presenza, sarebbero molto utili». Sulla mobilità interregionale, Messa accoglie la proposta arrivatale da un’associazione studentesca: «Perché non fare gli Erasmus in Italia? Potrebbe essere un modo per ridurre il divario tra Nord e Sud».

«La priorità è fare in modo che i giovani prendano in mano questo Paese, perlomeno per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione»

Indicando le tre priorità dei due anni di legislatura che le restano in capo al ministero dell’Università, Messa sostiene che al primo posto «vanno dati ai giovani gli strumenti per prendere in mano questo Paese, perlomeno per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione: tutto quello che stiamo mettendo a terra con questo extra-finanziamento europeo e che poi deve continuare nel tempo senza ulteriori finanziamenti, deve essere messo nelle mani dei giovani, coinvolgendo in maniera paritaria il mondo femminile». Al secondo posto, «occorre creare ricchezza dalla ricerca che facciamo, trovando metodi per valutare la ricerca che non siano predeterminati ex ante, ma ben evidenti perché strutturati secondo termini di impatto sul mondo economico, nel sociale». La terza impellenza del dicastero di Messa, infine, è quella di «creare un’università più forte, sostenibile e, soprattutto, aumentare il numero di studenti».

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