Russia, il grido di allarme della portavoce di Navalny: «Sta morendo. È questione di giorni»

L’attivista è in sciopero della fame dal 31 marzo. I suoi medici hanno chiesto di vederlo immediatamente, temendo un arresto cardiaco «da un momento all’altro»

Sono ore cruciali per Alexei Navalny, l’attivista e politico russo da più di due settimane in sciopero della fame. «La gente di solito evita la parola “morire”. Ma ora Alexey sta morendo. Nelle sue condizioni, è una questione di giorni», ha scritto su Twitter la sua portavoce, Kira Yarmish. La dottoressa personale di Navalny, Anastassia Vassilieva, e altri tre medici, tra cui un cardiologo, hanno chiesto di vederlo immediatamente, temendo un arresto cardiaco «da un momento all’altro».


Navalny ha iniziato lo sciopero della fame il 31 marzo per protestare contro le pessime condizioni di detenzione. Il politico ha accusato l’amministrazione carceraria di negargli l’accesso a un medico e ai farmaci necessari per la sua doppia ernia discale. Secondo i medici, il livello di concentrazione di potassio nel sangue di Navalny ha raggiunto un livello «critico», «il che significa che possono verificarsi una compromissione della funzione renale e gravi problemi del ritmo cardiaco, che possono sopraggiungere da un minuto all’altro». «Un paziente con un tale livello di potassio dovrebbe essere ricoverato in terapia intensiva, perché l’aritmia che può risultare fatale può svilupparsi in qualsiasi momento», ha aggiunto su Facebook il cardiologo Iarolav Achikhmine.


Navalny è tornato in Russia a gennaio, dopo avere passato un periodo di riabilitazione in Germania, a seguito di un tentativo di avvelenamento di cui era rimasto vittima nell’agosto 2020. Appena atterrato a Mosca, l’attivista è stato arrestato e condannato poi a tre anni e mezzo di carcere. Per la sua scarcerazione si sono mosse molte personalità note a livello globale. Sono 80 i firmatari di una lettera aperta inviata al presidente russo Vladimir Putin, e pubblicata dall’Economist, in cui si chiede che Navalny abbia accesso alle cure e ai medici. Ma dal Cremlino non è arrivata alcuna risposta.

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