La ricerca al buio delle varianti Covid: a marzo analizzato solo l’1% dei tamponi. Burioni: «Vogliamo vincere senza cercarle?» – I dati

Stando ai dati raccolti da Gisaid, nel mese di marzo sono stati sequenziati solo 8.078 campioni su un totale di oltre 9 milioni di test effettuati

«La lotta alle varianti si vince non cercandole», scherza Roberto Burioni su Twitter. Alla base dello scherzo, però, c’è un dato preoccupante sull’attività di sequenziamento svolta in Italia – l’analisi, cioè, che permette di individuare dai prelievi se il paziente si è infettato con un virus mutato e con quale. Stando ai numeri aggiornati raccolti da Gisaid, l’iniziativa che fornisce accesso ai dati genomici anche del Coronavirus responsabile della pandemia, nel mese di marzo sono stati sequenziati solo 8.078 tamponi su un totale di ben oltre 9 milioni di test effettuati tra il primo e il 31 del mese. Approssimativamente, si tratta dello 0,08%.


Stando alla mappa diffusa su Twitter dal bioinformatico Moreno Colaiacovo, le Regioni che hanno fatto meglio sono state l’Abruzzo e la Campania, che hanno sequenziato rispettivamente il 9% e il 7% dei tamponi positivi (in Campania grazie al lavoro del TIGEM e del Centro AMES di Napoli). Le regioni che hanno fatto peggio sembrerebbero invece il Piemonte, la Lombardia, e la Toscana.


Non che la mancanza del Paese su questo fronte sia una novità: già il mese scorso, l’ex presidente dell’Ema Guido Rasi aveva fatto notare come in Italia ci fosse una grande debolezza nella lotta alla pandemia, e cioè l’andare a cercare le varianti nei test. «Non si sta sequenziando abbastanza in Italia», aveva detto. «Ma dovremmo farlo per trovare nuove varianti e localizzare quelle che abbiamo già in casa».

Il caso umbro

Un esempio delle conseguenze che possono derivare da questa sottovalutazione è arrivato dall’Umbria lo scorso febbraio, quando la zona del perugino si trovò assalita dalla variante cosiddetta “brasiliana”. All’epoca circa 200 sanitari (molti già vaccinati) vennero infettati dal Coronavirus e parallelamente scoppiò un cluster nell’Ospedale perugino Santa Maria della Misericordia. La presenza della variante B117 (quella “inglese”) era stata segnalata in Italia solo a metà gennaio e, nonostante l’allerta, i tamponi inviati da Perugia a Roma per il sequenziamento tornarono indietro con una settimana di ritardo. Il risultato fu un’impennata inattesa di contagi e ricoveri causata dalla variante brasiliana.

Immagine di copertina: EPA/MARIO CRUZ

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