Tra M5s e Casaleggio addio irreversibile, il deputato grillino Berti: «Chi ha deciso? Il Movimento non è più padrone di se stesso» – L’intervista

Lo strappo tra il Movimento e l’associazione crea uno stallo nel processo di rifondazione dei 5 stelle voluto da Conte. Il parlamentare livornese a Open: «Non abbiamo un’alternativa alla democrazia digitale»

«Il Movimento, come lo conoscevamo noi, è finito». Dispiacere, dispiacere, dispiacere: è la parola che ripete più spesso il deputato 5 stelle Francesco Berti. Il referente grillino di Rousseau per la funzione Lex iscritti, parlando a Open, non nasconde la preoccupazione per il futuro della democrazia digitale nel Movimento: «Ci vuole del tempo per costruire una piattaforma come quella di Rousseau, ci vuole una persona di fiducia alla quale affidarla: l’ipotesi che avremo uno strumento digitale a stretto giro mi sembra basata sul niente». Lo scisma tra Associazione Rousseau e Movimento 5 stelle è ormai incontrovertibile.


Scaduto l’ultimatum del 22 aprile per saldare gli arretrati accumulati dal Movimento nei confronti di Rousseau, l’Associazione presieduta da Davide Casaleggio ha annunciato l’inizio della cassa integrazione per i suoi dipendenti. «Bisognava avere rispetto per chi lavora, bisognava avere rispetto per lo staff di Rousseau: si è fatto il mazzo per portare avanti il tema della democrazia digitale», afferma Berti. Secondo il deputato livornese, dopo il divorzio e con le questioni legali pendenti, la soluzione più probabile è che «nasca un’associazione nuova, da zero». Allora sì, sarà davvero la fine del MoVimento 5 Stelle, l’associazione istituita a Roma, nel 2017, al 257 di via Nomentana, e i cui fondatori risultano essere Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.


Onorevole, può esistere il Movimento 5 stelle senza Rousseau?

«Siamo in una situazione gravissima, soprattutto per l’integrità del Movimento che ha sempre avuto un’organizzazione differente rispetto ai partiti tradizionali, ha sempre creduto nella democrazia diretta. Nel 2018 siamo diventati il primo partito in Italia anche grazie al digitale. Oggi, il Movimento sta dicendo addio a una piattaforma pionieristica non in Italia, ma nel mondo. Non avendo fatto niente per evitare lo strappo di ieri – 23 aprile -, il Movimento sta rinnegando i migliori strumenti di democrazia digitale disponibili in Italia. Magari nell’azione di governo non vedremo gli effetti dell’addio a Rousseau, ma quando ci saranno da fare le campagne elettorali, quando occorrerà coinvolgere gli iscritti e condividere con loro le informazioni, ci renderemo conto del grave errore commesso. Ed emergeranno con forza i problemi di coesione interna».

Se appoggiarsi a Rousseau era così fondamentale per la tenuta del Movimento, come mai non si è riusciti a evitare lo strappo?

«È stata una discussione sbagliata su più livelli. Primo, evidentemente, è mancata una chiara volontà delle parti di trovare un accordo. Poi, non si è mai parlato con sincerità della questione, anche gli stessi parlamentari sono stati tenuti all’oscuro dei temi del contendere. Le informazioni, spesso non veritiere, sono trapelate attraverso i giornali. Nelle riunioni che ci sono state con i gruppi parlamentari non si è voluta gestire democraticamente la questione Rousseau. Eppure gli attivisti, che hanno votato durante gli Stati generali, hanno dato un’indicazione chiara su quale sarebbe dovuto essere il rapporto con la piattaforma. Figuriamoci, il Movimento non ha ascoltato gli iscritti nemmeno per la questione della leadership: si era scelta una guida collegiale, e invece si continua a ragionare con il capo politico unico. Infine, penso anche a quei parlamentare che non hanno versato all’associazione Rousseau la quota dei 300 euro, non tenendo fede all’impegno preso all’atto della candidatura».

Ha parlato degli iscritti. Saranno arrabbiati per non aver preso parte a questa decisione storica per il Movimento.

«È la mia preoccupazione principale: gli attivisti che ci seguono da oltre un decennio avranno uno strumento digitale per incidere nella politica del Paese, all’interno della cornice del Movimento?».

Ce l’avranno?

«Ce lo dirà chi ha le risorse per organizzare il nuovo Movimento. Mi dispiace che non si sia riuscito a trattenere chi il lavoro l’aveva fatto finora. Anzi, è stato esposto a mesi di stillicidio. Adesso tocca ripartire da zero, ci vuole del tempo per costruire una piattaforma come quella di Rousseau, affinata negli anni. Ci vuole una persona di fiducia alla quale affidarla. L’ipotesi che avremo uno strumento digitale a stretto giro mi sembra basata sul niente».

Senza una piattaforma sulla quale far votare gli iscritti, non si può modificare lo statuto del Movimento. E senza modifica dello statuto, la guida del Movimento non potrà essere affidata soltanto a Conte, ma a un comitato di cinque persone. Come si esce dallo stallo?

«Credo si stia andando nella direzione di far nascere un’associazione nuova, da zero. Se Rousseau, per i motivi che adduce, non farà fare la votazione per modificare lo statuto, si andrà verso una nuova associazione».

Nuova associazione vuol dire anche nuovo simbolo?

«Il simbolo del Movimento appartiene in realtà alla prima associazione di Beppe Grillo. Il simbolo del MoVimento 5 Stelle fondato nel 2017 è preso in prestito di lì. Dovrebbe essere Grillo a decidere se dare o meno quel simbolo alla nuova associazione».

Come si fa senza un Movimento organizzato, scevro della sua piattaforma digitale, a prepararsi alle elezioni amministrative?

«Questa è l’ipocrisia di chi dice che dobbiamo occuparci dei problemi delle persone e non del Movimento. Avere un’organizzazione seria del Movimento ti permette di essere credibile nei confronti dei cittadini. Come Movimento, bisogna avere rispetto di chi fa un percorso con te, degli attivisti. Si è voluta fare una guerra interna e sui giornali per delegittimare un pezzo importantissimo della nostra storia, Rousseau, permettendo che i rapporti si deteriorassero in maniera irreparabile. Ciò che è successo ieri è gravissimo e il Movimento, come lo conoscevamo noi, è finito».

Conte può essere il leader del neo-Movimento senza la legittimazione di una votazione online, dato che la democrazia digitale è uno dei vostri pilastri?

«Conte ha la fiducia di tantissimi cittadini. Siamo e saremo leali nei suoi confronti come lui lo è stato con noi. Se lui ha deciso di mettersi in gioco con noi, la leadership se la merita e, di fatto, già ce l’ha. Il non aver fatto un passaggio formale, però, espone il Movimento a diversi problemi e critiche. Non c’è nessuno che, formalmente prende le decisioni come quella di ieri – lo strappo con Rousseau – e non c’è nessuno che è formalmente responsabile di quello che succede. Non ho capito, ad esempio, quale è stata la posizione di Conte su Rousseau. Se penso poi all’intervento del tribunale di Cagliari, la preoccupazione raddoppia: il Movimento rischia di non essere più padrone di se stesso».

Il fatto di non conoscere la posizione ufficiale del Movimento su argomenti così importanti come il rapporto con l’associazione Rousseau può derivare dal fatto che, al suo interno, ci sono diverse sfere di potere che, se stessimo parlando del Pd, chiameremmo correnti. Non trova?

«Il Movimento ha tante sensibilità interne, ma questo non impedisce, come è stato fatto fino a 15 mesi fa quando avevamo ancora un capo politico eletto, Luigi Di Maio, di trovare una sintesi che vada bene a tutti».

Lei che conosce bene l’ecosistema Rousseau, essendo un referente del Movimento all’interno dell’associazione, come ha vissuto la scissione?

«La verità è che ognuno di noi può pensarla in maniera diversa su Rousseau, sul rapporto tra il Movimento e l’associazione presieduta da Casaleggio. Ma c’è una cosa che proprio non digerisco: la mancanza di rispetto per chi lavora. Bisognava avere rispetto per lo staff di Rousseau: si è fatto il mazzo per portare avanti il tema della democrazia digitale. E dispiace perché, oggi, non abbiamo un’alternativa alla democrazia digitale offerta da Rousseau. Dispiace perché ho realizzato che le persone che hanno lavorato al progetto di Rousseau sono state offese sui giornali per un anno e mezzo, e solo per guerre di potere interne al Movimento. Il divorzio, ormai, è irreparabile. E dispiace che la maggior parte di noi parlamentari non abbiamo potuto far altro che essere spettatori di un divorzio. Una decisione così importante, invece, doveva essere presa in maniera democratica».

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