Razzismo e sport, 40 anni fa i tifosi neozelandesi di rugby contribuirono alla fine dell’apartheid in Sudafrica – Il video

Nell’estate del 1981 lo sport fece i conti con il tema “politico” del razzismo durante il South Africa Rugby Union Tour. Manifestazioni e rivolte fecero da apripista all’abolizione della segregazione razziale in Sudafrica

«Politics should stay out of sport», letteralmente «la politica dovrebbe rimanere fuori dallo sport», un concetto tornato in auge durante il dibattito sull’inginocchiamento (o meno) contro il razzismo della nazionale italiana di calcio agli Europei. E pensare che quelle stesse parole furono usate quarant’anni fa dall’allora Primo Ministro della Nuova Zelanda Sir Robert David Muldoon quando parte del popolo neozelandese si oppose al Tour della nazionale di rugby del Sudafrica, gli Springboks, per manifestare e ribadire il loro duplice dissenso: contro l’apartheid e a fianco dei Maori. Il South Africa Rugby Union Tour era una tournée di 19 partite (16 in Nuova Zelanda e 3 negli USA), in programma tra il 22 luglio e il 25 settembre 1981, di cui 4 test match: tre partite in cui si sarebbero sfidati gli Springboks contro gli All Blacks, nazionale di rugby neozelandese, e una in cui il Sudafrica avrebbe giocato contro gli USA.


Il terreno di gioco (già fertile) dell’antirazzismo

Manifesto di una protesta organizzata a Wellington nel 1959

Springboks e All Blacks hanno una lunga e intensa tradizione di rivalità sportiva. Dagli anni ’40 agli anni ’60, l’apartheid sudafricano influenzò le scelte per la convocazione degli All Blacks: i selezionatori furono costretti a rinunciare parecchie volte ai giocatori Maori per alcuni tour in Sudafrica. Fino al 1970, il Sudafrica si rifiutò infatti di accogliere squadre sportive multietniche e non era per nulla contento di dover gareggiare contro giocatori Maori in Nuova Zelanda. Intorno agli anni ’50 e ’60 crebbe in Nuova Zelanda il malcontento per l’invio di squadre composte solamente da atleti bianchi in Sudafrica. Prima del tour del 1960, che avrebbe visto impegnati gli All Blacks in Sudafrica, 150.000 cittadini neozelandesi firmarono una petizione a sostegno della causa antirazzista, con relativo slogan coniato per lo scopo: «No Maoris, No Tour».


Il movimento HART

Nonostante le proteste, il tour del 1960 non venne bloccato ma nel 1967, la Rugby Union neozelandese fu costretta ad annullare il tour, già programmato, per lo stesso motivo: senza Maori non si scende in campo. Due anni dopo, nel 1969, nacque il movimento antirazzista Halt All Racist Tours (HART), in italiano «Interrompi tutti i tour razzisti», per manifestare il proprio dissenso nei confronti dei tour della Rugby Union da e per il Sudafrica. Le proteste pubbliche e le pressioni politiche del movimento costrinsero la Nuova Zelanda Rugby Union (NZRFU) a scegliere se schierare una squadra di non soli bianchi o non visitare il Sudafrica.

Le autorità sudafricane continuarono a selezionare i giocatori basandosi sul colore della pelle, e per questa ragione, nel 1973 il governo neozelandese del laburista Norman Kirk impedì agli Springboks di andare in tournée in Nuova Zelanda. Dopo le proteste della NZRFU per «il coinvolgimento della politica nello sport», nel 1976 gli All Blacks girarono comunque il Sudafrica con la benedizione del neoeletto Primo Ministro neozelandese, Sir Robert David Muldoon. Il tour scatenò nuove proteste da parte del movimento HART che lo interpretò come un tacito sostegno al regime dell’apartheid in Sudafrica.

Sir Robert David Muldoon, Primo Ministro neozelandese

Alla battaglia del movimento neozelandese si unirono venticinque nazioni africane che, in segno di solidarietà alla causa, boicottarono le Olimpiadi estive del 1976 a Montreal. Le crescenti pressioni e il dibattito internazionale che ne seguì contribuirono al raggiungimento nel 1977 dell’Accordo di Gleneagles con cui i capi di governo del Commonwealth approvarono all’unanimità un documento nel quale sostenevano di «combattere vigorosamente il male dell’apartheid», scoraggiando i contatti e le competizioni tra i loro sportivi e quelli del Sudafrica. Nel 1980, la fusione tra HART e National Anti-Apartheid Council vide la nascita del HART: NZAAM (Halt All Racist Tours: New Zealand Anti-Apartheid Movement), le cui proteste raggiunsero il culmine quando venne annunciato il tour degli Springboks in Nuova Zelanda per l’anno 1981.

Le proteste contro il South Africa Rugby Union Tour

Manifestanti contro il tour degli Springboks invadono il Rugby Park di Hamilton

Migliaia di neozelandesi scesero nuovamente in piazza contro il tour della squadra sudafricana, che divenne argomento centrale nel dibattito politico internazionale, soprattutto dopo la firma, quattro anni prima, dell’Accordo di Gleneagles. Il primo ministro australiano Malcolm Fraser negò il permesso agli aerei degli Springboks di fare rifornimento in Australia, costringendoli a far scalo a Los Angeles e alle Hawaii. Nonostante le pressioni sul governo di Muldoon per annullare il tour, gli Springboks arrivarono in Nuova Zelanda il 19 luglio 1981, provocando l’acuirsi delle proteste e delle tensioni interne al Paese.

Il 25 luglio al Rugby Park di Hamilton, oggi Waikato Stadium, circa 350 manifestanti invasero il campo dopo aver abbattuto una recinzione. La polizia arrestò circa 50 persone nel giro di un’ora, ma a seguito di una segnalazione, secondo cui un aereo leggero (rubato) si stava avvicinando allo stadio, fu costretta ad annullare la partita. Nella settimana successiva, con l’intensificarsi della repressione nei confronti dei manifestanti, il movimento corse ai ripari indossando caschi da motociclista o da bicicletta per proteggersi dai manganelli della polizia.

Manifestanti contro il South Africa Rugby Union Tour del 1981

Per tutta la durata del tour, in Nuova Zelanda e negli USA, le proteste andarono avanti tra invasioni di campo, bombe di farina sganciate sul terreno di gioco da un aereo, strade piene di manifestanti e partite spostate da uno stadio all’altro nel giro di poche ore. La partita finale del tour degli Springboks contro la nazionale statunitense si svolse in segreto a Glenville, nello stato di New York e, con soli trenta spettatori, registrò la più bassa presenza di pubblico di sempre per una partita di rugby internazionale.

Il risultato finale

Manifestanti contro la squadra di rugby sudafricana, gli Springboks, arrivata ad Albany (USA)

Nel 1985, quattro anni dopo il South Africa Rugby Union Tour, un altro tour già pianificato dagli All Blacks in Sudafrica, venne interrotto dall’Alta Corte della Nuova Zelanda, dopo che due avvocati fecero causa alla NZRFU. L’accusa era quella di violare lo stesso statuto della Federazione di rugby neozelandese, che conteneva molte nobili parole sulla promozione dei valori e dell’immagine del rugby e della Nuova Zelanda per la società. Nonostante l’anno successivo si disputò un tour non ufficiale, il movimento antirazzista e anti-apartheid andò in meta e vinse la partita: gli All Blacks non andarono più in tournée in Sudafrica fino alla caduta del regime dell’apartheid.

Foto in copertina: elaborazione di Vincenzo Monaco
Video in copertina: Commonwealthian Historia – YouTube

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