Dalle persecuzioni al Premio Nobel per la Letteratura: chi è Abdulrazak Gurnah, voce dei rifugiati

Profilo dello scrittore premiato «per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo»

Una storia travagliata, che si riflette nei dieci romanzi che, dal 1987 ad oggi, ha scritto in lingua inglese. Abdulrazak Gurnah, 72 anni, è uno scrittore e professore universitario, nato sull’isola di Zanzibar e fuggito dalle persecuzioni contro la popolazione di origine araba, appena 20enne, in Regno Unito. Fin dagli inizi dell’esilio, si è dedicato alla scrittura: anche se lo swahili era la sua prima lingua, lo strumento letterario che scelse da subito è l’inglese. Oggi, 7 ottobre 2021, l’Accademia svedese l’ha insignito del Premio Nobel per la letteratura: è il quinto scrittore africano a vincere il riconoscimento – dopo Wole Soyinka, nel 1986, Naguib Mahfouz, nel 1988, Nadine Gordimer, nel 1991, e John Maxwell Coetzee, nel 2003 -, il primo tanzaniano. I circa 1,15 milioni di dollari del Premio Nobel gli sono stati conferiti per «la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti».


Dalla fuga in Inghilterra alla carriera letteraria

Nato il 20 dicembre 1948, Gurnah subisce le discriminazioni che, a partire dalla rivoluzione di Zanzibar del 1964, affliggono la popolazione di etnia araba. Sono gli anni della presidenza di Abeid Karume, leader del partito Afro-Shirazi, di ispirazione socialista. Finita la scuola, Gurnah è costretto ad abbandonare la famiglia e a fuggire in Inghilterra. Gli sarà consentito di tornare a Zanzibar solo dopo nel 1984, in tempo per assistere suo padre sul letto di morte. Arrivato nel Regno Unito, completa gli studi umanistici e consegue il dottorato di ricerca all’Università di Kent, dopo una breve parentesi in cui ha insegnato alla Bayero University di Kano, in Nigeria.


L’apice della sua carriera accademica in Inghilterra lo raggiunge diventando direttore del dipartimento di inglese a Kent. Si ritira dall’università sulla soglia dei 70 anni, dopo aver insegnato e coltivato a lungo l’interesse per la letteratura postcoloniale, incentrandosi particolarmente sulle aree geografiche africane, caraibiche e indiane. Scrive dieci romanzi e diversi racconti, raccolti nel 2006 nella silloge My Mother Lived on a Farm in Africa. Tre delle sue opere – Paradiso, Sulla riva del mare e Il disertore – sono state tradotte in italiano e pubblicate da Garzanti.

I temi al centro delle sue opere

La sua produzione sembra essere attraversata integralmente dalla tensione, spesso dolorosa, che accompagna la vita dei rifugiati. Gli viene riconosciuto il merito di aver stravolto il paradigma della letteratura coloniale, scritta dalla prospettiva del cittadino europeo che torna a casa dopo le sue avventure in terre lontane. Gli eroi tragici di Gurnah continuano a vivere, sovente senza lieto fine apparente, in Africa. La memoria è elemento essenziale della scrittura di Gurnah, scevra di sentimentalismi, poiché ogni sua opera pesca nella cultura multiforme in cui lui stesso si è formato, vivendo i suoi primi 20 anni sull’isola dell’Oceano Indiano.

I romanzi di Gurnah, poi, cercano di rifuggire la nostalgia per un’Africa precoloniale, selvaggia, attingendo piuttosto dalle contraddizioni che le invasioni di portoghesi, indiani, arabi, tedeschi e britannici hanno introdotto nell’area geografica dove è nato e cresciuto. Il romanzo che ha segnato la svolta della sua carriera è Paradise, pubblicato nel 1994, un libro pieno di riferimenti all’opera di Joseph Conrad nella rappresentazione del viaggio di un giovane eroe. Che, con una profonda indagine psicologica dello scrittore, finirà per dover abbandonare la persona che ama e abbracciare ciò che ha sempre odiato, in un panorama di usurpazione dell’Africa orientale da parte dei colonizzatori tedeschi.

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