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Vomito, convulsioni e urla: il condannato a morte John Marion Grant muore dopo 15 minuti di agonia

30 Ottobre 2021 - 10:58 Redazione
L'iniezione di Grant è arrivata a poche ore dalla decisione della Suprema Corte di riprendere le esecuzioni capitali in Oklahoma

Una lunga agonia prima di essere giustiziato. John Marion Grant, condannato a morte nel 2000 nello Stato dell’Oklahoma, ha passato gli ultimi 15 minuti della sua vita tra le urla e la disperazione, dopo aver ricevuto l’iniezione di cocktail letale di farmaci, il Midazolam su tutti. A raccontare il fatto, avvenuto il 28 ottobre, sono stati diversi testimoni: familiari di Grant, giornalisti, legali del condannato. Hanno parlato di convulsioni incontrollate e violenti conati di vomito Nei giorni in cui Joe Biden incontra in Vaticano Papa Francesco, il caso di Grant, afroamericano di 60 anni, riapre il dibattito sulla pena capitale negli Stati Uniti. Lo stesso Papa alcune settimane fa aveva lanciato un appello affinché l’esecuzione non venisse eseguita. La pratica è stata reintrodotta nelle carceri federali da Donald Trump e ora Biden ha promesso di abolirla di nuovo. Lo stop in Oklahoma era arrivato nel 2015, dopo che altri testimoni avevano parlato della fine disumana e crudele di alcuni detenuti giustiziati con il mix di farmaci. L’esecuzione di Grant arriva a poche ore dalla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di revocare la sospensione della pratica per Grant e per un altro detenuto, Julius Jones, che martedì 2 novembre chiederà la grazia in tribunale.

La morte di Grant

Stando ai testimoni, le convulsioni di Grant sono state così violente da far quasi cedere i lacci che lo tenevano legato al lettino. L’uomo ha poi vomitato almeno venti volte prima di perdere i sensi. Solo a quel punto, dopo 15 minuti di tortura, il boia ha somministrato gli altri due farmaci previsti dal protocollo, che hanno portato allo stop delle funzioni cardiache e respiratorie. I familiari e i legali hanno denunciato come Grant non avesse mai ricevuto in questi anni l’assistenza psicologica e le cure mentali di cui avrebbe avuto bisogno. Nel 1998 aveva ucciso il dipendente di una caffetteria del carcere in cui si trovava recluso per rapine. La grazia gli è stata negata due volte, l’ultima all’inizio di ottobre.

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