Cop26, nella nuova bozza dell’accordo gli impegni diventano ancora più soft

Restano al momento vuoti i paragrafi destinati al completamento del Paris Rulebook: le regole per attuare l’accordo di Parigi

Si è aperto oggi, 12 novembre, l’ultimo appuntamento della Cop26 di Glasgow, almeno sulla carta. Finiti gli incontri con vip e politici, resta solo quest’ultima giornata di negoziati, la più lunga e difficile, in cui si confronteranno tecnici e ministri. I nodi politici da sciogliere sono ancora tanti ed è praticamente impossibile che i leader mondiali riescano a chiudere i lavori entro le sette di stasera, come invece auspicato dal presidente della Cop26 Alok Sharma. L’obiettivo è sottoscrivere un accordo che mantenga l’aumento della temperatura globale al di sotto degli 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Un obiettivo ambizioso da raggiungere in poche ore, soprattutto quando sono ancora in ballo questioni importanti come la decarbonizzazione progressiva, la gestione del mercato globale delle emissioni di Co2 e le regole di trasparenza degli stati.


Gli impegni

Nella serata di ieri è uscita la seconda bozza del documento finale del vertice, oggi in discussione, che presenta linee guida decisamente più morbide rispetto alla precedente versione. Rimangono gli impegni a mantenere la temperatura al di sotto degli 1,5 gradi, a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030, e ad arrivare a zero emissioni nette di Co2 intorno alla metà del secolo. Resta anche l’invito ad aggiornare gli obiettivi di decarbonizzazione per tutti quei Paesi che non lo hanno ancora fatto, secondo le indicazioni dell’accordo di Parigi. Sparisce, tuttavia, la previsione di un incontro di aggiornamento sulla riduzione delle emissioni entro la fine del 2022, presente nella prima bozza. Caposaldo della seconda versione del documento, è il riconoscimento del ruolo dei giovani, delle donne e delle comunità indigene nella lotta alla crisi climatica.


I paragrafi vuoti

Non si può fare a meno di notare il «linguaggio più soft» – come scrive The Guardian – della nuova bozza, che «richiede» alle parti di fare controlli annuali sulla quantità di emissioni anziché «esortarle». Vengono inoltre alleggeriti gli impegni sulla riduzione dei sussidi ai combustibili fossili, pur mantenendone l’azzeramento in prospettiva di lungo termine. Insomma, se da un lato si è pensato di agevolare la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo, che non hanno le risorse necessarie per un drastico cambio di rotta, dall’altro si rendono gli obiettivi sempre meno stringenti e più discrezionali. Restano al momento vuoti i paragrafi destinati al completamento del Paris Rulebook – le regole per attuare l’accordo di Parigi – e alle regole di trasparenza per comunicare i risultati di decarbonizzazione degli stati. Dalla bozza è, inoltre, sparito l’invito ad attivare entro il 2023 un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per i paesi meno sviluppati. Il documento si limita infatti a sollecitare i Paesi ricchi a deliberare sulla questione entro il 2025 e a «raddoppiare» i loro sforzi per sostenere i paesi in via di sviluppo, sottolineando l’importanza della trasparenza nell’attuazione degli impegni.

Le critiche

«Mancano degli elementi vitali», dice il capo delegazione di Oxfam a Glasgow, Tracy Carty: «Abbiamo bisogno di un accordo che impegni i governi a tornare l’anno prossimo, e ogni anno che verrà, per monitore l’obiettivo degli 1,5 gradi». «Un accordo non all’altezza», dice alla Bbc Nicholas Stern, economista pioniere della denuncia del global warming e autore del Rapporto Stern sui cambiamenti climatici. Ammette, però, che se non altro il nuovo documento trasmette «un senso di maggiore urgenza». «Ora occorre fa leva su questa sensazione – conclude –  per mettere in piedi entro l’anno prossimo una sistema in grado di trasformare le intenzioni in impegni concreti».

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