Perché il procedimento cominciato alla Corte Suprema mette a rischio il diritto all’aborto in America – Il video

Nella Corte Suprema è partito il procedimento sulla legittimità della legge del Mississippi. La sentenza potrebbe ribaltare quella storica del 1973, che istituì il diritto all’interruzione di gravidanza

Negli Stati Uniti si riaccende lo scontro sull’aborto. La Corte Suprema, composta a maggioranza da membri conservatori, è chiamata a decidere sulla legittimità di una legge dello Stato del Mississippi, che vieta l’interruzione della gravidanza dopo 15 settimane. Oggi, 1 dicembre, si è tenuta la prima udienza del procedimento. Il caso è stato ribattezzato «Dobbs vs Jackson Women’s Health», dal nome del capo del dipartimento di Salute del Mississippi, Thomas Dobbs, e da quello dell’unica clinica dello Stato in cui è ancora possibile abortire. La sentenza, probabilmente, non arriverà prima di giugno 2022, ma il dibattito cominciato oggi ha già attirato cortei di proteste, dell’una o dell’altra fazione, davanti alla sede della Corte Suprema. Dentro il palazzo della Corte sembrerebbe prevalsa la linea antiabortista dei sei giudici costituzionali di nomina repubblicana (i giudici liberali sono tre), tre dei quali scelti dall’ex presidente Donald Trump. Joe Biden, al contrario, ha ribadito il suo fermo sostegno ai diritti delle donne acquisiti e consolidatisi nel corso dei decenni.


Il diritto all’aborto è stato istituito negli Usa nel 1973 a seguito di una sentenza della Corte Suprema, nota come «Roe vs Wade». La decisione ha concesso alle donne un diritto assoluto all’interruzione volontaria di gravidanza nel primo trimestre e diritti più limitati nel secondo. Quasi due decenni dopo, la Corte ha preso un’altra decisione chiave: nel caso «Planned Parenthood vs Caesy», è stato stabilito che gli Stati non possono «ostacolare eccessivamente» le donne intenzionate ad abortire prima che il feto sia considerato vivo. In altre parole, si può interrompere la gravidanza fino a quando il feto non è in grado di restare in vita fuori dall’utero, a circa 23 o 24 settimane.


La legge del Mississippi e la posizione della Corte

Il caso in esame alla Corte Suprema ruota tutto attorno a una legge statale approvata per l’appunto in Mississippi nel 2018: la norma punta a rendere illegale la maggior parte degli aborti dopo le prime 15 settimane di gravidanza, compresi quelli legati a stupri o incesti. La legge non è mai entrata in vigore per via della controversia legale. Il procuratore generale dello Stato ha chiesto alla Corte di valutarne non solo la legittimità, ma di usarla per annullare definitivamente la sentenza del 1973 – il che darebbe alla sentenza un valore federale. Il fatto che la Corte suprema abbia accettato di esaminare il caso è già visto come un segnale negativo: fino a ora, i giudici si erano sempre rifiutati di esaminare proposte simili.

Nel frattempo, altri 18 Stati conservatori hanno dato formale sostegno allo Stato, insieme alla Chiesa cattolica e a numerose associazioni anti-aborto. Gli avvocati che rappresentano il Mississippi sostengono che «nella Costituzione, nella struttura, nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti non ci sia nulla che sostenga il diritto all’aborto», e che ciascuno Stato dovrebbe essere libero di decidere se e quando vietarlo. Secondo il Guttmacher Institute, un’organizzazione di ricerca che sostiene il diritto all’aborto, l’interruzione di gravidanza diventerebbe presto illegale in circa la metà degli Stati se le sentenze «Roe» e «Casey» venissero rovesciate. Naturalmente, a soffrirne di più sarebbero le fasce più povere della popolazione e le minoranze etniche, che sono anche quelle che richiedono più di frequente l’interruzione volontaria della gravidanza.

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