Stop paracetamolo e vigilante attesa: perché il Tar ha sospeso le cure domiciliari e cosa succede adesso

La sentenza del tribunale amministrativo del Lazio e i suoi effetti secondo gli esperti

Il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha annullato la parte della circolare del ministero della Salute sulle cure domiciliari contro il Coronavirus. Per il Tar «il contenuto della nota ministeriale con quale, in merito alla gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2, si prevedeva una “vigilante attesa” e la somministrazione di Fans e Paracetamolo, si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale». A fare ricorso è stato il Comitato Cura Domiciliare ma, è bene ricordarlo, vere e proprie cure domiciliari per la Covid-19 per ora non esistono.


Quelle del ministero erano più che altro linee guida diffuse durante i diversi mesi di pandemia. Che servivano per orientare il trattamento dei pazienti positivi al virus non bisognosi di ricovero. E secondo molti quello del Tar è diventato quindi un provvedimento tecnicamente già superato. Lo ha detto a La Stampa l’assessore regionale alla sanità del Lazio Alessio D’Amato: «Con l’ampia diffusione del vaccino il pronunciamento del Tar ha un effetto nullo. Con la maggior parte della gente immunizzata il contagio provoca conseguenze assai meno gravi rispetto al passato. La maggior parte dei malati sono addirittura asintomatici e quindi non richiedono pesanti cure farmaceutiche. E inoltre, con la diffusione delle cure monoclonali e antivirali il discorso della vigilante attesa era comunque già venuto meno».


Della stessa opinione è il presidente della Fnomceo Filippo Anelli: «Il responso del Tar non cambia di fatto nulla. Innanzitutto perché il protocollo del ministero della Salute è ampiamente superato. All’epoca in cui venne emanato si sostenevano la vigilante attesa e l’uso del paracetamolo perché non c’erano cure specifiche come quelle attuali dei monoclonali e degli antivirali». Anelli sostiene, inoltre, che «la sentenza non stabilisce che i medici possono prescrivere tutto ciò che vogliono, ma devono attenersi alle condizioni individuali del paziente per capire ciò di cui ha bisogno. Per capirci, è considerata inopportuna la somministrazione dell’idrossiclorochina e dell’azitromicina, ritenuti ininfluenti per la cura del Covid. Ma che invece sono andati a ruba, e spesso si stenta a trovarli per darli a chi soffre di altre patologie».

La questione giuridica

Secondo il dottor Anelli «contro il Covid non esistono cure specifiche, dipende dai sintomi del paziente, e in fondo anche con il vecchio protocollo, prima della sentenza del Tar, il medico era tenuto a intervenire in base ai limiti prescrittivi e deontologici». Ma intanto si è aperta la discussione sulla questione giuridica. Eugenia Tognotti, professoressa ordinaria di storia della medicina a Sassari, dice che la sentenza sorprende perché mina la fiducia in istituzioni come il ministero della Salute e l’Aifa. Ma non solo: per la prof «suscita sconcerto l’affermazione che le linee guida ministeriali rappresentano per i medici un disincentivo a “agire in scienza e coscienza assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta”. Ma scienza significa basarsi su conoscenze scientifiche e dati inoppugnabili di ricerca e separare le opinioni dai fatti. E coscienza significa fare scelte ragionevoli basandosi sulle migliori evidenze disponibili e non su suggestioni. Mentre domina una malattia dalle tante facce e in continua evoluzione, c’è da augurarsi che per tanti medici, arbitri e giudici della salute, “agire in scienza e coscienza” significhi altro».

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