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No, uno studio turco non dimostra l’efficacia dell’idrossiclorochina sui pazienti Covid ospedalizzati

17 Gennaio 2022 - 00:33 Juanne Pili
L'inefficacia delle cure alternative contro il nuovo Coronavirus non viene affatto smentita dalla ricerca citata da Tibushe

Bogdan Tibusche, personaggio apprezzato negli ambienti complottisti e No vax noto attraverso la pagina Facebook SocialTv Network, ha trovato uno studio del 25 novembre 2021 condotto su 237 pazienti ospedalizzati in Turchia che sembra dargli ragione: idrossiclorochina e vitamine “funzionerebbero” contro il nuovo Coronavirus. Lo annuncia in un video dove rivendica di averlo sempre sostenuto. Tibusche afferma che si tratta proprio di uno studio che cercava disperatamente e finalmente lo ha trovato, ma è un esempio perfetto di cherry picking, ovvero, nonostante il resto della Comunità scientifica sia concorde su un fatto (idrossiclorochina e vitamine non funzionano contro la Covid-19), ci si impegna a trovare qualsiasi cosa purché dica l’esatto contrario. Abbiamo quindi anche un bias di conferma, soprattutto da parte dei ricercatori, vediamo perché.

Per chi ha fretta:

  • Lo studio in questione tratta due gruppi di pazienti già ospedalizzati con carenze di vitamina D.
  • L’assenza di un gruppo di controllo con soli trattamenti standard rende impossibile confermare che il protocollo proposto sia migliore dei trattamenti standard.
  • La rivista che ha pubblicato il paper è stata criticata per il modo in cui esegue la peer-review dei suoi contenuti.

Analisi

Per il resto della letteratura scientifica più autorevole sul tema, l’idrossiclorochina non solo è inefficace contro la Covid-19, ma risulta associata anche a una maggiore mortalità nei pazienti. Nature ha pubblicato una meta-analisi in merito, che non sembra lasciare spazio a dubbi. Un precedente studio pubblicato su The Lancet che avrebbe dovuto dimostrarne l’efficacia è stato ritrattato, ma continuano a esserci guru che sostengono l’esistenza di un complotto per tenerci nascosti i suoi presunti effetti antivirali.

Uno dei post che ha condiviso il video e il testo proveniente dal canale Telegram di SocialTV.

Come è stato svolto lo studio

Lo studio «parla di 237 pazienti ospedalizzati con Covid-19 di età compresa tra 22 e 99 anni, il 73% di questi aveva comorbidità – spiega Tibushe leggendo i dati dell’abstract -, tutti i pazienti tranne uno (il 99,6%) trattati con idrossiclorochina, azitromicina e zinco, con o senza vitamina C ad alte dosi, si sono completamente ripresi».

Il nostro studio suggerisce che il protocollo di trattamento con idrossiclorochina, azitromicina e zinco con o senza vitamina C è sicuro ed efficace nel trattamento della COVID-19 – continuano i ricercatori -, con vitamina C IV ad alte dosi che porta a un recupero significativamente più rapido. È importante sottolineare che il nostro studio conferma che la carenza di vitamina D è un fattore ad alto rischio di COVID-19 grave e ricovero in ospedale, con il 97% della coorte di pazienti del nostro studio con carenza di vitamina D, il 55% di questi con grave carenza di vitamina D e nessuno aveva livelli ottimali. Sono necessari futuri studi per valutare il trattamento con una combinazione di vitamina D3 ad alte dosi oltre a idrossiclorochina, azitromicina e zinco e vitamina C per via endovenosa ad alte dosi.

Manca un controllo in doppio cieco col placebo

Da notare che i ricercatori parlano di pazienti con carenze effettive di vitamina D. Mentre sicurezza ed efficacia col protocollo è solamente suggerito, mentre si rimanda a futuri studi per avere una eventuale conferma. Effettivamente i ricercatori riportano che «quasi tutti i pazienti ospedalizzati con COVID-19 arruolati nello studio erano carenti di vitamina D (97%)», in quanto ospedalizzati devono aver ricevuto anche terapie standard. Sarebbe interessante a questo punto vedere cosa è successo in un gruppo di controllo con pazienti che hanno ricevuto solo i trattamenti ospedalieri standard. Peccato che non ci fosse.

Certo, lo studio prevede due gruppi: uno con idrossiclorochina, azitromicina, zinco e vitamina D3, senza vitamina C; l’altro aveva il medesimo protocollo, con la vitamina C. Anche se gli autori parlano di «controlled trial», questo al massimo potrebbe esserci stato per la vitamina C, ma sarebbe stato valido solo se il protocollo a base di idrossiclorochina fosse stato già riconosciuto valido dalla Comunità scientifica. Effettivamente manca del tutto il cieco, ancor meno il doppio cieco (per evitare il bias di conferma sia i ricercatori sia i pazienti non devono sapere sul momento cosa viene somministrato: il farmaco vero o un placebo); questo avrebbe senso se fosse stato previsto davvero un gruppo di controllo a cui oltre alle cure standard fosse stato dato anche il placebo, altro elemento che appare del tutto assente nello studio.

I ricercatori nelle loro conclusioni scoprono l’acqua calda: «la carenza di vitamina D è un fattore ad alto rischio per la grave malattia di COVID-19 e l’ospedalizzazione». Sapevamo già, prima ancora della pandemia, che carenze di questa vitamina potrebbero generare problemi nell’organismo. Lo zinco o la vitamina D3 potrebbero aver compensato tale carenza? Oppure lo hanno fatto i medici in ospedale? I ricercatori non ci permettono di avere alcuna risposta. Se non hanno tenuto conto di un doppio cieco e di un gruppo di controllo col placebo, qualsiasi cosa hanno trovato non è chiaro se sia dovuta al loro protocollo o alle normali cure standard.

Alcuni dubbi sulla peer-review di Cureus

La rivista che ha pubblicato l’articolo è Cureus. Il modo discutibile con cui i suoi articoli vengono accettati, anche dopo pochi giorni di peer-review, ha destato non poche critiche, anche da parte del debunker Jeffrey Beall, autore della blacklist delle riviste predatorie, ovvero, che pubblicano qualsiasi articolo purché gli autori paghino una quota. Megan Molteni nel commentare i tempi ridotti di pubblicazione della rivista, ha affermato su Wired che «questo modello è facilmente e spesso sfruttato dai predatori (leggasi “riviste predatorie”, Ndr).

Noi notiamo in particolare che tra gli argomenti trattati da Cureus si trova anche la «medicina osteopatica». Avevamo visto in un precedente articolo come questa disciplina sia povera di basi scientifiche. Su Cureus troviamo anche qualche articolo che tratta di omeopatia. Quindi abbiamo un paper che rema contro quanto è stato appurato, pubblicato su una rivista su cui sussistono forti dubbi riguardo alla qualità della sua peer-review.

Conclusioni

Data l’assenza di un gruppo di controllo con placebo i ricercatori si limitano a suggerire che il loro protocollo a base di idrossiclorochina sia sicuro ed efficace, rimandando a nuovi studi per averne conferma. Sappiamo però che la Comunità scientifica ha già verificato l’inefficacia e la scarsa sicurezza di tali trattamenti contro la Covid-19.

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