L’omeopatia è come acqua e zucchero: ecco perché non può funzionare

E come tutte le cosiddette medicine alternative, può essere pericolosa se sostituisce le cure reali

Il caso del piccolo Francesco Bonifazi morto a sette anni di otite perché «curato» solo con rimedi omeopatici purtroppo non è il solo. Nell’ottobre 2011 morì di polmonite all’ospedale di Tricase un bimbo di quattro anni, assistito con rimedi omeopatici.

Più recentemente ha fatto scalpore il case report riguardante un paziente ammalatosi di cirrosi epatica a causa di un abuso di rimedi omeopatici, dovuto non al principio attivo – ovviamente inesistente – ma ad altre sostanze usate per produrre i presunti farmaci. 

Cerchiamo di spiegare in breve i principali motivi per cui l’omeopatia – come tutte le medicine alternative – si è rivelata essere niente più che un semplice placebo, che se sostituito ai farmaci reali potrebbe portare a conseguenze sanitarie gravi, come quelle appena accennate.

L’analisi sistematica australiana

Nel 2015 venne pubblicato un report sull’omeopatia per conto del National Health and Medical Reseach Council, l’Istituto nazionale australiano di ricerca medica. Si trattava di un’ampia revisione sistematica dei 225 migliori studi sulla presunta efficacia dell’omeopatia.

I ricercatori ne hanno tratto conclusioni impietose. In alcuni punti gli autori sembrano tristemente profetici «non dovrebbe essere utilizzata per trattare condizioni croniche e serie (o che potrebbero diventarlo)». Per il resto non esiste un solo caso in cui un rimedio omeopatico si sia dimostrato efficace, se non come un qualsiasi altro placebo.

Tanto per intenderci: un placebo è un finto farmaco e viene usato per testare l’efficacia dei farmaci. Ecco come: medici e pazienti vengono divisi in due gruppi, al primo viene dato il farmaco vero, al secondo il farmaco placebo, ma senza rivelarlo in anticipo. In questo modo è possibile escludere le suggestioni psicologiche (il cosiddetto effetto placebo) che potrebbero falsare i risultati delle ricerche.

Come dovrebbe funzionare l’omeopatia?

L’omeopatia venne inventata da Christian Friedrich Samuel Hahnemann nel 1796. Hahnemann era convinto che l’acqua potesse avere memoria delle sostanze con cui veniva in contatto e che, seguendo determinati «rituali», si sarebbe potuto potenziare un principio attivo mediante la diluizione.

Hahnemann credeva nel principio in base al quale «il simile cura il simile»: per questo principio, chi soffre di insonnia e ha bisogno di dormire deve usare la caffeina, estremamente diluita. L’unità di misura della diluizione è il Ch (dalle iniziali di Hahnemann). Si può parlare di farmaco omeopatico solo quando viene superata la dodicesima diluizione (12Ch). 

Il rito della diluizione funziona così: una goccia di principio attivo viene diluita in un recipiente pieno d’acqua (è il primo Ch); poi si preleva una goccia da quel recipiente e la si trasferisce in un secondo recipiente pieno d’acqua. L’operazione viene ripetuta 12 volte, ma dopo la dodicesima diluizione – di fatto – il principio attivo è scomparso del tutto.

La lobby degli omeopati

L’unica cosa che resta è l’acqua e lo zucchero, comprese altre sostanze utilizzate per confezionare il presunto farmaco. Nonostante tutto le aziende che producono rimedi omeopatici continuano a prosperare, riuscendo talvolta a imporsi anche nelle strutture sanitarie che dovrebbero invece garantire un certo rigore nel certificare non solo la sicurezza dei farmaci, ma anche la loro effettiva efficacia.

Ne sanno qualcosa in Francia dove il dibattito è stato sempre molto acceso tra favorevoli e contrari. Infine, nel marzo scorso per la prima volta nella Storia medici e farmacisti si sono uniti nel condannare senza appello l’omeopatia, con un comunicato congiunto.

Prima ancora nel marzo 2016 l’Università di Barcellona decise di cancellare dai suoi corsi il master in omeopatia, causando reazioni contrastanti. Si tratta ancora di una dura lotta contro la pseudo-scienza, infatti nell’Unione europea – Italia inclusa – la confusione tra omeopatia e medicina continua a essere accentuata da provvedimenti controversi, visto che le normative continuano di fatto ad accostare i rimedi omeopatici «sullo stesso livello» dei farmaci.

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