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I malumori bipartisan per Draghi. «Se va al Quirinale, commissariamo tutto?» – Il retroscena

25 Gennaio 2022 - 19:04 Felice Florio
In Transatlantico si registra una crescente insofferenza da parte dei partiti verso il premier, che cercano di riconquistare lo spazio dato in usufrutto ai tecnici

Mario Draghi ha avviato vere e proprie consultazioni mentre alla Camera iniziavano le votazioni. E in Transatlantico i malumori non si sono fatti attendere: «L’invasione di campo del premier», la definisce così un deputato grillino, «ha rallentato le negoziazioni». Perché? «C’è bisogno che i leader si accordino e facciano la cosa più complessa: dire chiaramente a Draghi che è meglio che resti a Palazzo Chigi. Altrimenti la trattativa resta bloccata». O, peggio, teme un senatore di Italia Viva, «rischiamo che si dimetta da premier». Questa è la preoccupazione. Ma non si elegge un presidente della Repubblica per paura di perderlo. Niente bollicine per l’italiano più autorevole che ha offerto la sua disponibilità ai leader politici. Insofferenza, piuttosto, da parte dei partiti che cercano di riconquistare lo spazio dato in usufrutto ai tecnici. «Non doveva accettare di fare il presidente del Consiglio se la sua ambizione era il Quirinale», dicono alcuni grandi elettori leghisti riunitisi in capannello nel cortile di Montecitorio. «Allora commissariamo tutto e la facciamo finita con la politica – lamenta un senatore di esperienza -. Se Draghi venisse eletto presidente, ce lo dobbiamo tenere per tre legislature: questa, la prossima e anche all’inizio della ventesima».

La stizza per Draghi, nel Transatlantico, è bipartisan. Un deputato del Pd sottolinea, con vincolo di riservatezza, che «Draghi non doveva intervenire in maniera così scomposta nella giornata di ieri. Forse aveva paura di perdere questo treno?», si domanda. Un suo collega della stessa
famiglia politica si dice «disgustato che sui giornali e ai cittadini sia stato mostrato il mercimonio dei ruoli di governo correlato a una questione così alta come quella del Quirinale». Pare che i grandi elettori del Pd, ascoltati da Enrico Letta, abbiano imposto al segretario di abbandonare l’ipotesi Draghi. La più trasversale delle convinzioni, oggi, è che se l’ex governatore della Bce lasciasse palazzo Chigi, il voto anticipato non sarebbe più soltanto uno spauracchio.

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