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Verso la fine della pandemia? Brusaferro si sbilancia: «La discesa è ormai chiara. Così abbiamo vinto»

13 Febbraio 2022 - 11:07 Redazione
Nessuna illusione che sia tutto finito, solo l'evidenza di numeri ad oggi più che incoraggianti. Il presidente dell'Istituto superiore di sanità analizza i dati epidemiologici: «Scenario di decrescita importante»

Campagna vaccinale avanzata, servizio sanitario efficace e consenso della popolazione. Per Silvio Brusaferro sono questo gli ingredienti che stanno portando il Paese fuori dal tunnel dell’emergenza da Covid-19. Nessuna illusione che sia tutto finito, solo l’evidenza di dati ad oggi più che incoraggianti. Il quadro descritto dal presidente dell’Istituto superiore di sanità e portavoce del Comitato tecnico scientifico è molto chiaro: «Si continua a scendere», dice al Corriere, «l’indice Rt si conferma sotto la soglia epidemica: si è abbassato a 0,85 rispetto allo 0,90 della settimana precedente e questo significa che il numero degli infetti tende a scendere. Si riducono anche i ricoveri in terapia intensiva e nei reparti di medicina rispettivamente dell’11% e del 7,7%. Lo scenario è un trend di decrescita importante». Parla con numeri e percentuali Silvio Brusaferro, indicando tra tutti anche il dato che è necessario non sottovalutare. «Il numero dei nuovi casi positivi non è insignificante. Sono ancora oltre 60 mila», spiega. La circolazione del virus quindi è ancora elevata ma quello che lo scienziato invita a fare «è una valutazione dello scenario complessivo».

Vaccini, tamponi e cure offerte a tutti

«Le infezioni diminuiscono in ogni fascia d’età», spiega il presidente Iss, «tra i 60 e gli 80 anni abbiamo un’incidenza settimanale tra i 4-500 ogni 100 mila abitanti, mentre nei più giovani (under 19) superano i 1.500. Dal punto di vista della tenuta del sistema sanitario è un dato fondamentale». Niente a che vedere con le precedenti ondate. «Questa è stata una fase caratterizzata da una popolazione in larghissima parte immunizzata e gestita in un contesto di attività diagnostica molto intensa. La copertura vaccinale, la capacità di aver garantito un milione di tamponi al giorno, hanno fatto la differenza così come i comportamenti degli italiani, consapevoli di dover collaborare», continua Brusaferro. Uno dei punti forti riconosciuti dal tecnico è anche quello di un «Servizio sanitario nazionale universalistico che probabilmente ha garantito a tutti risposte efficaci. Un elemento che ci ha distinti dall’organizzazione sanitaria di diverse nazioni».

Vaccini, consenso della popolazione e servizio sanitario. Questi secondo il presidente Iss sono state le tre chiavi che hanno aperto la porta della discesa. «In maniera particolare i dipartimenti di prevenzione, fino a poco tempo fa sottovalutati, sono stati determinanti», spiega lo scienziato. «Sono i servizi delle Asl incaricati di tutelare la salute collettiva, dove professionisti altamente qualificati garantiscono una lunga serie di attività essenziali anche se poco note. La prevenzione delle malattie infettive attraverso vaccinazione e sorveglianza, monitoraggio e controllo di rischi ambientali, sicurezza dei luoghi di lavoro, salute animale, qualità di acque e alimenti. Una volta i professionisti della sanità pubblica si chiamavano ufficiali sanitari. In questa pandemia i dipartimenti si sono occupati del tracciamento dei casi, del contenimento dei focolai e di mandare avanti l’attività ordinaria come la profilassi delle altre malattie».

«Ora è tempo di trarre insegnamenti»

La quarta ondata è dunque alle battute finali e chissà che non lo sia anche la pandemia. «Non è bene illudersi anche se il trend rimane quello», continua Brusaferro, che in una nuova fase epidemica si spinge anche a riflettere sull’insegnamento da trarre da questi ultimi due anni. «La pandemia ci ha ribadito che è fondamentale investire in ricerca scientifica, tecnologica ma anche nella capacità di traslare queste in prodotti e servizi fruibili. Il nostro Paese è ricco di competenze e di conoscenze e capacità imprenditoriali ed è importante valorizzarle ancor più. Quando le mascherine non si trovavano, in tempi rapidissimi le nostre industrie sono state capaci di riconvertirsi: oltre 640 aziende sono state in grado di produrre e commercializzare secondo gli standard richiesti questi strumenti così importanti».

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