Covid, le principali varianti non bucano i vaccini neanche dopo sei mesi – Lo studio

Il report, pubblicato sula rivista Cell, parla di un’efficacia ancora all’87-90% dopo 24 settimane. Solo Omicron risulta più sfuggente: la protezione scende all’84-85%

La protezione fornita dai vaccini contro il nuovo Coronavirus non si riduce drasticamente dopo sei mesi, né esistono grosse differenze tra le varianti, contrariamente a quanto si ipotizzava inizialmente. Per quanto nell’arco di sei mesi si verifichi una riduzione dei linfociti B e degli anticorpi neutralizzanti, le varianti Covid non riescono effettivamente a «bucare i vaccini», in quanto esiste anche una seconda linea di difesa del sistema immunitario costituita principalmente dall’azione dei linfociti T. I risultati di un recente studio confermano quindi che, a sei mesi dalla seconda inoculazione, la memoria di forma dei linfociti T indotta dalla vaccinazione viene mantenuta all’87-90% (percentuale che varia in base ai due tipi di linfociti T esistenti). Solo la variante Omicron si è rivelata più sfuggente delle altre, con una percentuale di memoria leggermente minore: 84-85%. Gli autori perciò suggeriscono che i vaccini continueranno a essere efficaci anche contro le future varianti del virus. 


Lo studio si deve ai ricercatori del La Jolla Institute for Immunology, in collaborazione con l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e l’Università di Genova, ed è stato pubblicato il 23 gennaio 2022 sulla rivista Cell. Quel che si sono chiesti i ricercatori, trovando conferma, è se «le risposte dei linfociti T alle prime varianti sono state preservate attraverso le piattaforme vaccinali», dalla Alpha alla Omicron. Specificamente, sono stati presi in considerazione i vaccini di Moderna (mRNA-1273), Pfizer/BioNTech (BNT162b2), Johnson & Johnson (Ad26.COV2.S) e Novavax (NVXCoV2373). Tra le limitazioni dello studio va considerato il fatto che esso si riferisce solo al cambiamento di forma degli epitopi – la parte del virus a cui i linfociti T si agganciano – ma non considera potenziali altri effetti delle mutazioni. Gli scienziati concordano sul fatto che una compatibilità di forma superiore all’80% è sufficiente a garantire l’efficacia del vaccino, ma non si sa a quale percentuale questa venga meno.


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