Nato, Donbass e Crimea: cosa vuole Putin per non far scoppiare la guerra in Ucraina

Mosca smentisce che il 16 febbraio sia il giorno fissato per l’invasione. Ma intanto sposta le armi in posizione d’attacco. La strada della trattativa è difficile. Però secondo gli esperti lo Zar sta cercando solo un’exit strategy

È il 16 febbraio la data scelta dalla Russia per invadere l’Ucraina? Il primo vice rappresentante permanente di Mosca presso le Nazioni Unite, Dmitry Polyansky, parlando a Channel 4 ha sostenuto che non c’è alcun ultimatum fissato per mercoledì: «Per quanto ne so no, e non vedo alcun motivo per questo». Polyansky ha definito ridicole le notizie di una invasione imminente. «Ogni giorno impariamo qualcosa di nuovo su di noi e sui piani di attacco, sull’invasione a noi attribuita. Per noi è sorprendente», ha detto il rappresentante russo all’Onu. Sottolineando che tali notizie «sono anche una completa sorpresa per gli ucraini. Sembra – ha aggiunto – che solo gli americani siano sicuri di qualcosa, ma non condividono informazioni, né con noi né con gli ucraini». Ma allora cosa vuole Vladimir Putin per non far scoppiare la guerra in Ucraina? E davvero i venti di guerra sono un’illusione ottica?


Lo Zar vuole salvare la faccia

In primo luogo va ricordato quello che spiega oggi James Woolsey, oggi professore e direttore della Cia dal 1993 al 1995, in un’intervista a Repubblica. E cioè che i russi «sono specialisti dell’inganno dai tempi di Pietro Il Grande». Per Woolsey lo Zar «è duro, ma anche scaltro, però questa crisi è stata tutto tranne che scaltra. Non so come possa uscirne senza apparire debole, cioè l’ultima cosa che vuole. Ora però noi dobbiamo stare attenti a non cacciarci a nostra volta in un vicolo cieco. Esseri duri non basta, ma essere deboli è letale. Quindi dobbiamo restare fermi e uniti, dandogli il modo di salvare la faccia». Come? Una possibile soluzione l’ha modellata ieri l’ambasciatore ucraino nel Regno Unito, Vadym Prystaiko alla Bbc. «Potremmo rinunciare all’entrata nella Nato, soprattutto se veniamo minacciati così, ricattati così e spinti in questa direzione». Poi l’ex ministro degli Esteri ha ritrattato, ribadendo che l’Ucraina ha un impegno fissato in costituzione di aderire alla Nato, «una questione che dipende dalla prontezza dell’Alleanza stessa». 


Il Corriere della Sera spiega oggi che la situazione di oggi si trascina da un anno. Ovvero da quando la Russia ha cominciato le grandi manovre in Europa in risposta all’offensiva della Nato. Che, violando una promessa (verbale) fatta dagli americani a Gorbaciov, ha cominciato ad espandersi nei paesi ex Urss o del Patto di Varsavia. La Russia oggi chiede che Ucraina e Georgia non entrino ma questo punto è difficile da ottenere. Perché l’adesione alla Nato è libera. Ma qui c’è uno spiraglio. Perché sia la Georgia (in Ossezia e Abkhazia) che l’Ucraina (nel Donbass e in Crimea) hanno conflitti aperti. E in base al testo alla base dell’allargamento del 1999 non possono essere accettati nell’Alleanza Atlantica.

Un ritiro disordinato

Il problema è che la Russia ufficialmente chiede di più. Ovvero vuole il ritiro di tutti i soldati occidentali dai paesi entrati nella Nato dopo il 1997. Una scelta che agli Usa non dispiacerebbe visto che l’isolazionismo è tornato di moda oltreoceano (l’Afghanistan lo insegna). Ma Washington non può accettare oggi una condizione che per Biden suonerebbe come un’obbedienza allo Zar. Poi c’è la Crimea. Qui Putin vorrebbe che l’annessione venisse riconosciuta. E anche qui è impossibile che gli Usa lo concedano. Ma ormai i cittadini della penisola hanno passaporti russi, il collegamento con Mosca è assicurato e la situazione potrebbe trascinarsi così per decenni senza soluzioni di continuità. La questione più scottante è il Donbass. Dove la Russia, che chiede maggiore autonomia per la regione, si trova a scontrarsi con i nazionalisti ucraini.

E qui la situazione potrebbe precipitare: se il governo decidesse di colpire gli interventisti, Mosca interverrebbe con mano pesante. Ovvero proprio quello che secondo la Cbs si sta nel frattempo preparando a fare: ha spostato alcune unità di artiglieria a lungo raggio e lanciarazzi in posizione d’attacco, lasciando presagire un’imminente operazione. Alcune unità russe hanno lasciato le aree verso cui erano state convogliate e stanno iniziando a spostarsi in «posizione di attacco», secondo una fonte americana. L’iniziativa segna un cambiamento rispetto a domenica scorsa, quando alcune unità avevano lasciato le aree di raccolta ma non avevano ancora guadagnato quelle che potrebbero essere postazioni di attacco. Gli Stati Uniti, secondo la fonte, ritengono che la Russia attaccherà l’Ucraina entro la fine della settimana, anche se non è ancora certo in quale modo e attraverso quale strada.

L’exit strategy

Anna Zafesova, giornalista esperta di Russia e di Putin, su La Stampa invece oggi disegna una prospettiva completamente diversa. Che vede il leader di Mosca obbligato a una marcia indietro perché l’escalation è andata più in là delle sue forze. Ma Putin non vuole apparire sconfitto e farà di tutto per cercare di annettersi il Donbass senza irritare l’Occidente. Il quotidiano ricorda che ieri la Duma ha ripescato a sorpresa l’appello a Putin per riconoscere come indipendenti le «repubbliche popolari» di Donetsk e Lugansk, un piano B ventilato qualche giorno fa e rimasto nel cassetto. In questa prospettiva il Donbass potrebbe diventare una pistola puntata sul negoziato, oppure una ricompensa che la Russia si prende per l’ultimatum respinto. In questo caso l’Europa potrebbe reagire con sanzioni meno dure e a rimetterci sarebbe solo l’Ucraina lasciata a quel punto in balìa dei nazionalisti. Così la situazione oggi potrebbe essere sanata. Per poi tornare a precipitare tra qualche mese.

Foto copertina da: Naufraghi.ch

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