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Perché la Consulta ha bocciato il referendum sulla cannabis? Il quesito e la tabella sulle droghe pesanti

perché corte costituzionale boccia referendum cannabis
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La motivazione della Corte Costituzionale è tecnica e guarda all'articolo 73 del Testo Unico sugli stupefacenti. Vediamo cosa dice e come hanno risposto i promotori del referendum

La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sulla cannabis perché il quesito così formulato avrebbe avuto effetti anche sulla droghe pesanti. Questa è la motivazione data dal presidente della Consulta Giuliano Amato ieri sera. E che i promotori del voto hanno pesantemente contestato nelle ore immediatamente successive al verdetto. Nella conferenza stampa convocata dopo le 18 Amato ha detto che «il quesito è articolato in 3 sotto quesiti. Il primo relativo all’articolo 73 comma 1 della legge sulla droga prevede che scompaia tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, quelle che includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti, mentre la cannabis è alla tabella 2. E questo ci ha portato a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito».

Le tabelle delle sostanze stupefacenti

Stiamo parlando dell’art. 73 del testo unico sugli stupefacenti. Il primo comma è questo: «Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000». E il quesito referendario chiedeva di abrogare la parola “coltiva”. Aggiungendo poi di voler cancellare la reclusione da 2 a 6 anni dal comma 4. Infine cancellava la norma (all’articolo 75 della legge) che prevede la «sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni».

Le tabelle delle sostanze stupefacenti di cui parla Amato sono quelle presenti sul sito del ministero della Salute, che vengono aggiornate periodicamente. Sinteticamente, le tabelle comprendono:

  • Tabella I (ultimo aggiornamento DM 10 gennaio 2022): Oppio e derivati oppiacei (morfina, eroina,metadone ecc.); Foglie di Coca e derivati; Amfetamina e derivati amfetaminici (ecstasy e designer drugs); Allucinogeni (dietilammide dell’acido lisergico – LSD, mescalina, psilocibina, fenciclidina, ketamina ecc.);
  • Tabella II (ultimo aggiornamento Legge 16 maggio 2014, n. 79): Cannabis;
  • Tabella III (ultimo aggiornamento Legge 16 maggio 2014, n. 79): Barbiturici;
  • Tabella IV (ultimo aggiornamento DM 2 dicembre 2021): Benzodiazepine

Il ragionamento della Corte

Leonardo Fiorentini, segretario del Forum Droghe, membro del Comitato promotore del referendum, ha spiegato oggi in un’intervista a Repubblica che «il comma 1 dell’articolo 73 della legge sulle droghe enumera le condotte passibili di pene detentive relative alle tabelle 1 e 3, quelle in cui sono elencate anche l’oppio o la coca. Peccato però che il comma 4, in cui si parla delle tabelle 2 e 4, ovvero quelle che citano la cannabis, facciano riferimento proprio alle condotte del comma 1. L’unico modo per rendere penalmente irrilevante la coltivazione a uso personale della cannabis era intervenire anche sul primo comma, lasciando però intatte le pene per tutte le altre condotte». Ma poi aggiunge che il ragionamento della Corte è giusto: «Noi lo abbiamo sempre detto che il quesito depenalizzava la coltivazione di tutte le piante, senza però intervenire sulle pene per le altre condotte a fini di spaccio come la detenzione e la fabbricazione».

Argomentando però che la coltivazione in Italia è un problema secondario: «Le piante di coca, per questioni climatiche, non crescono in Italia e non risultano sequestri. Cosa che invece accade per il papavero. Entrambe però, come è ben noto e al contrario della marijuana che è pronta per il consumo, necessitano di complicati processi di raffinazione per diventare eroina e cocaina». Luigi Manconi, ex senatore dei Verdi, su La Stampa invece fornisce un’interpretazione più estensiva: «Il presidente Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle “tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono nemmeno la cannabis, che si trova nella tabella 2”. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale dei promotori del Referendum. Così non è. Infatti, il comma 4 richiama testualmente le condotte di cui al comma 1 dello stesso articolo 73, tra le quali è ricompresa proprio quella della coltivazione. Appare evidente, dunque, come non si possa prescindere da una lettura combinata dei due commi».

Il legame tra coltivazione e consumo

Conclude Manconi: «In altre parole, i proponenti non hanno fatto riferimento al comma 1 perché volevano legalizzare la coltivazione di “droghe pesanti”, bensì perché non si poteva fare altrimenti, dal momento che i due commi sono correlati. In ogni caso – ed è quanto esposto nella memoria difensiva del quesito e nel corso dell’udienza in Corte – questo non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza. Il termine “coltiva” a riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis. Si possono coltivare – certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo – papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 dell’articolo 73».

Evidentemente la verità sta nel mezzo: è vero che per consumare piante come quella della coca come droghe c’è bisogno della produzione e che questa rimane vietata. Ma è anche vero che la coltivazione di queste piante, che oggi è vietata, sarebbe stata legalizzata. Aprendo così un varco nella legge che la Consulta ha voluto chiudere. Anche per la questione degli “obblighi internazionali”. Ovvero gli accordi tra stati in materia di stupefacenti come la Convenzione di New York del 1961 e relativo Protocollo di Emendamento del 1972, e le Convenzioni di Vienna del 1971 e 1988). La prima, all’articolo 36, stabilisce che «ciascuna Parte adotta le misure necessarie affinché la coltivazione e la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la preparazione, la detenzione, l’offerta, la messa in vendita, la distribuzione, l’acquisto, la vendita, […] siano considerati infrazioni punibili qualora siano commesse intenzionalmente e sempreché le infrazioni gravi siano passibili di una pena adeguata, in particolare di pene che prevedono la reclusione o altre pene detentive».

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