Il voto digitale rimandato al 2023 tra le polemiche: «Al momento troppi rischi per la cybersicurezza»

Molto critico Giuseppe Brescia (M5), presidente della Commissione Affari Costituzionali: «Azzerato un lavoro lungo più di due anni»

Sul tavolo del Consiglio dei ministri c’è la bozza che regolerà il prossimo election day. Rigurgiti di pandemia esclusi, il 12 giugno si andrà alle urne per votare cinque referendum sulla giustizia e per il primo turno delle elezioni amministrative. In questo documento, che dovrà essere discusso e approvato dal Consiglio dei ministri, c’è anche una norma che rimanda l’introduzione del voto elettronico: «In considerazione della situazione politica internazionale e dei correlati rischi connessi alla cybersicurezza, l’introduzione del voto digitale si applica a partire dall’anno 2023». Sempre nella stessa bozza è contenuto anche un passaggio in cui si parla della cifra da investire in questo strumento: «Il fondo per il voto elettronico istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Interno è finanziato con uno stanziamento di un milione di euro per l’anno 2023». Un Fondo per la sperimentazione del voto elettronico (con lo stesso importo) era già stato istituito con la Legge di Bilancio del 2020.


L’annuncio dello spostamento del voto elettronico è bastato per far scattare le critiche di chi lavora da tempo a questo strumento, come Giuseppe Brescia, deputato del Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione Affari Costituzionali: «Cancelleremo in Parlamento la norma che stoppa la sperimentazione del voto elettronico e azzera un lavoro lungo più di due anni. Siamo convinti che la tecnologia possa aiutare la partecipazione al voto di milioni di cittadini che vivono o studiano lontano dal luogo di residenza. Quanto ai rischi sulla sicurezza, noi siamo sempre stati aperti a ogni soluzione, consapevoli dei valori costituzionali in gioco come la segretezza del voto e proprio per questo la sperimentazione prevedeva in prima battuta una simulazione senza valore legale. Fermarla non ha senso».


Quanto pesa il voto elettronico in Italia?

Nel luglio del 2021 la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao hanno firmato un decreto che individuava come utilizzare il Fondo per la sperimentazione del voto elettronico. Il nuovo sistema doveva essere usato per le elezioni politiche, per le Europee e per i referendum. Il voto elettronico è rivolto sia agli italiani all’estero che ai fuorisede, una formula con cui si identifica chi studia o lavora lontano dal comune dove si trova il suo seggio elettorale. In totale stiamo parlando di circa 7,5 milioni di persone. Secondo Istat ci sono 4 milioni di elettori all’estero e 3,5 milioni di fuorisede. In questo momento gli Italia all’estero, dopo essersi iscritti a specifiche liste elettorali, possono votare per posta.

In Italia c’è un piccolo precedente di voto elettronico, anche se con modalità che comunque richiedevano la presenza. Nel 2017 regione Lombardia (guidata allora da Robero Maroni) aveva indetto un referendum per l’autonomia, un voto consultivo in cui si chiedeva ai residenti se volevano che la regione intraprendesse «le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Per farlo la regione aveva puntato su un voto attraverso tablet, i cui risultati venivano poi conservati in chiavette Usb. Nessun voto a distanza quindi ma allor il tentativo di passare al digitale non era andato benissimo.

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