Boom di occupazione femminile. Seghezzi di Adapt: «Più donne lavoratrici di prima della pandemia» – L’intervista

Nel mese di marzo, il tasso di occupazione femminile ha raggiunto quota 51,2 per cento

Nel mese di marzo è stato registrato un record nel tasso di occupazione femminile, che segnala un numero di donne occupate superiore anche a quello di febbraio 2020. Secondo quanto emerge dai dati provvisori dell’Istat pubblicati ieri, 3 maggio, la percentuale ha raggiunto quota 51,2 per cento, con un aumento di 0,5 punti su febbraio e di 2,8 rispetto a marzo 2021. Sono aumentate di 85 mila unità le donne che hanno trovato occupazione a marzo e di 442 mila rispetto allo stesso periodo nel 2022. Il dato si inserisce in una crescita più complessiva dell’occupazione, in termini percentuali giunta addirittura al suo massimo dal 2004 ad oggi, ovvero al 59,9%. Complessivamente, gli occupati sono aumentati di  81 mila unità rispetto a febbraio 2022 e di 804 mila su marzo 2021.


I motivi del record

«Ci sono più donne occupate oggi di quante ce n’erano prima della pandemia cosa che con gli uomini non accade». Dichiara a Open Francesco Seghezzi, presidente di Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati in Lavoro e Relazioni Industriali) e ricercatore delle dinamiche occupazionali. Tra i motivi di questa crescita, secondo il ricercatore, c’è l’emergenza Coronavirus, la conseguente chiusura di molte attività e l’entrata di molti in Cassa Integrazione che «hanno portato quella fascia di popolazione che prima non lavorava a decidere di entrare nel mercato del lavoro». Molte famiglie, «in cui lavorava solo il padre hanno dovuto o scelto di aggiungere un’entrata in più a seguito degli effetti della pandemia» e, spiega Seghezzi, «si tratta di una dinamica che si verifica spesso durante le situazioni di crisi». La crescita del numero di occupate si è verificata soprattutto nella seconda fase della pandemia.


Anche sul fronte dell’occupazione maschile i dati sono positivi: «Anche in questo caso abbiamo un record da quando abbiamo le serie storiche dagli anni ’70», dice Seghezzi. Aggiunge però che per l’occupazione maschile «c’è stato un marzo stazionario».

Boom di occupate, ma con quali contratti?

I nuovi occupati segnalati dal report dell’Istat sono in larga parte a tempo indeterminato (+103 mila), seguiti da occupazione a termine (+19 mila). Come spiega Francesco Seghezzi, nonostante i dati mensili dell’Istat siano difficili da interpretare perché ancora parziali, quello di ieri è un report molto positivo. E proprio il dato dell’occupazione femminile è uno dei fattori fondamentali: «I numeri evidenziano che si tratta principalmente di lavori a tempo indeterminato, ma non sappiamo ancora se si tratta di full time o part time». Secondo Seghezzi in questi dati rientrano «principalmente donne con contratti a termine che hanno iniziato a lavorare durante la pandemia nel 2021. Quindi, arrivate alla fine del loro contratto a termine, sono state in parte confermate con l’indeterminato». Secondo il ricercatore, essendo ancora l’inizio dell’anno, nell’aumento degli indeterminati incide il fatto che quella dell’Istat è una rilevazione effettuata nei mesi in cui molti contratti scadono.

Fonte: Istat

I motivi dell’aumento di nuovi occupati

La crescita degli occupati di marzo è il risultato dell’aumento dei dipendenti permanenti (+0,7%) e a termine (+0,6%) e della diminuzione degli autonomi (-0,8%). Oltre a questo il rapporto non dà evidenza specifica delle radici del boom di nuovi lavoratori e lavoratrici. Spesso l’oscillazione del numero di occupati, soprattutto per quanto riguarda le donne, è legata a crisi economiche o a miglioramenti sullo stesso fronte. Ma, secondo Seghezzi, le ragioni di questi dati sono con molta probabilità «non legate direttamente a un aumento della domanda di lavoro, ma a ragioni degli imprenditori o del pubblico, che però sono molto complesse da rintracciare». Uno dei motivi, a suo avviso, potrebbe essere legato alle tipologie contrattuali: molti autonomi sono diventati dei contratti a termine, altri hanno deciso di entrare nel mondo del lavoro a seguito della crisi e diversi contratti sono passati dall’essere da termine a indeterminati. Inoltre, il presidente di Adapt sottolinea anche che i dati del report «non prendono in considerazione gli effetti della crisi bellica di questi mesi perché a marzo l’economia non aveva ancora risentito della guerra».

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