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«Ritirate questo scempio»: su Instagram monta la rivolta contro la docuserie su Gianluca Vacchi

27 Maggio 2022 - 16:00 Michela Morsa
Gli utenti del social network chiedono a gran voce la rimozione di "Gianluca Vacchi: Mucho Más" in seguito alla denuncia per sfruttamento sul lavoro di un'ex colf dell'influencer

Amazon Prime Video è finita nel mirino degli utenti di Instagram per la recentissima uscita della docuserie Gianluca Vacchi: Mucho Más, dedicata alla storia dell’imprenditore, influencer e tiktoker, Gianluca Vacchi. Da qualche ora la pagina Instagram del colosso di streaming è al centro di attacchi, che domandano a gran voce la rimozione dalla piattaforma video della serie. A scatenare l’indignazione del popolo del social network il fatto che l’uscita del documentario, reso disponibile il 25 maggio sulla piattaforma Amazon, coincida con una denuncia di sfruttamento sul lavoro nei confronti della star dei social diffusa ieri 26 maggio da Repubblica, che ha intervistato un’ex colf di Vacchi. In occasione del lancio della docu-serie, pensata per far conoscere un aspetto inedito dell’influencer, spesso insultato sui social, Prime Video ha anche esposto in piazza XXV aprile a Milano una statua di Vacchi a grandezza naturale, sostituendo i tatuaggi originali con i commenti più ricorrenti che riceve sotto i suoi post.

L’iniziativa sui social è partita da Aestetica sovietica, pagina che si occupa di analisi sociale e politica, particolarmente attenta alla rappresentazione delle minoranze, che ha esortato i suoi follower a richiedere in massa la rimozione della docuserie sotto il post di Amazon Prime Video che ne promuove l’uscita. Sono già più di 700 i commenti, alcuni parlano di «scempio», minacciando la disdetta dell’abbonamento. «Cancellate questa spazzatura», «Uno sfruttatore non merita un documentario che lo vuole far idolatrare», «Disdico l’abbonamento se non lo ritirate», «Non abbiamo bisogno di un elogio a chi considera i suoi dipendenti schiavi, grazie!», sono alcuni dei commenti.

La denuncia dell’ex colf

Una donna filippina di 44 anni, colf di Gianluca Vacchi dal maggio 2017 al dicembre 2020, ha fatto causa all’influencer chiedendo che le vengano riconosciuti 70mila euro tra straordinari e tfr non pagati. A Repubblica, la donna, che è già la terza ex dipendente di Vacchi a chiedere un risarcimento danni al tribunale del lavoro, ha descritto i tre anni e mezzo di rapporto lavorativo come un incubo fatto di sfruttamento e vessazioni, con orari di lavoro ben lontani dalle 6 ore giornaliere previste dal contratto inizialmente firmato. La donna dice di avere lavorato fino a venti ore senza interruzione e senza aver quasi mai ricevuto gli straordinari, in molti casi senza beneficiare del riposo settimanale e nemmeno delle ferie. La 44enne ricorda in particolare i soggiorni in Sardegna nella villa H20 a Porto Cervo, dove «l’orario si estendeva indicativamente dalle 10 di mattina alle 3 di notte, a volte anche fino alle 4 o 5».

Ma nella causa intentata, l’ex colf non parla solo di sfruttamento, ma anche di un vero e proprio clima di terrore nei confronti del personale. I domestici, dice, erano costretti a eseguire alla perfezione i balletti allestiti per i video di TikTok per non scatenare la rabbia di Vacchi «che inveiva contro i domestici, lanciando il cellulare e spaccando la lampada usata per le riprese». O venivano minacciati di vedersi detratti 100 euro dalla busta paga come «multa» per ogni dimenticanza durante la preparazione dei bagagli.

Quest’ultima circostanza sarebbe documentata da alcuni messaggi vocali di cui Repubblica è entrata in possesso, in cui si sente l’influencer inveire contro i domestici: «Adesso mi sono rotto i co****ni. I filippini tutte le volte che si dimenticano qualcosa sono 100 euro di multa, non sto scherzando. A costo che se ne vadano tutti via, sennò li mando via io a calci in c**o», dice. «Mi hanno fatto sparire le punture di testosterone, io divento una bestia», e poi: «Adesso io torno a casa e se vedo un muso lungo gli metto le mani addosso». La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata la richiesta di firmare un contratto di riservatezza, che avrebbe portato a tensioni con la domestica e al conseguente licenziamento, subito anche da altri collaboratori.

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