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Lo sciopero dei buoni pasto oggi: perché bar, supermercati e ristoranti non accettano i ticket

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Proclamato dalle associazioni della distribuzione e del commercio. La proposta di Altroconsumo: versare il corrispettivo nelle buste paga dei lavoratori

Oggi, mercoledì 15 giugno, è il giorno dello sciopero dei buoni pasto. Lo hanno proclamato le associazioni della distribuzione e del commercio: non verranno accettati in bar, ristoranti, alimentari, supermercati ed ipermercati che aderiscono ad Ancd Conad, ANCC Coop, Federdistribuzione, FIEPeT-Confesercenti, Fida e Fipe-Confcommercio. Le associazioni hanno comprato anche una pagina di pubblicità sui giornali per spiegare le loro ragioni: «le commissioni a carico di noi esercenti sono insostenibili. Per ogni buono da 8 euro ne incassiamo poco più di 6. Chiediamo una riforma del sistema che ci consenta di continuare a offrire il servizio». Ma dall’altra parte della barricata ci sono le associazioni dei consumatori.

Lo sciopero e il contro-sciopero

Adoc, Adiconsum, Assoutenti e Federconsumatori dicono che le rivendicazioni degli esercenti «seppur giuste nella sostanza, finiscono per danneggiare solo ed unicamente i cittadin. Non si capisce perché le organizzazioni della Gdo e degli esercenti non abbiano pensato a proteste contro Consip e Mef, unici responsabili delle condizioni imposte sui ticket per la spesa». Per questo indicono un contro-sciopero invitando i cittadini a disertare bar, alimentari e ristoranti. Mentre il presidente di Federdistribuzione Alberto Frausin auspica «una riforma radicale dell’attuale sistema che riversa commissioni insostenibili sulle imprese e ne mette a rischio l’equilibrio economico».

«In Italia abbiamo commissioni non eque, le più alte d’Europa», spiega Frausin. «Parliamo del 20% del valore nominale di ogni buono. È un meccanismo influenzato enormemente dagli sconti ottenuti dalla Consip nelle gare indette con la logica del massimo ribasso. Peccato che i risparmi che la centrale di acquisto pubblica riesce ad ottenere nell’assegnazione dei lotti di buoni pasto siano sostanzialmente annullati dal credito d’imposta che le società emettitrici ottengono a fronte della differenza Iva tra le aliquote applicate in vendita e in riscossione. A pagare il conto sono le nostre aziende».

Cosa sono i buoni pasto, dove si spendono e chi ne ha diritto

I buoni pasto sono uno strumento di integrazione del reddito con un valore economico che il percettore può spendere negli esercizi convenzionati. Di solito le aziende li acquistano dalle società che li emettono e li distribuiscono al lavoratore. Le aziende possono sospenderli a chi è in smart working. Ad oggi, in Italia, circa 3 milioni di lavoratori ricevono buoni pasto per un valore di circa 3,2 miliardi. Un terzo di questi è assorbito dalla Pubblica amministrazione. Le commissioni in media sono comprese tra il 10% e il 20% del valore del buono. Per una spesa di 10 euro, l’esercente ne incassa in pratica solo 8. Se la tendenza degli esercenti a non accettare più i buoni come metodo di pagamento dovesse continuare il rischio per i lavoratori è che si trovino in tasca liquidità impossibili da spendere.

Per questo Altroconsumo ha proposto una modifica legislativa. Che consenta alle aziende italiane di versare il corrispettivo dei buoni pasto direttamente nelle buste paga dei lavoratori. Mantenendo per entrambe le parti le agevolazioni fiscali oggi previste per i buoni pasto. Lo Stato concede vantaggi fiscali alle aziende che li acquistano, permettendo loro di dedurre l’intero importo dal totale su cui si pagano Ires e Irap, favorendo così anche il reddito disponibile dei dipendenti. Altroconsumo chiede al Legislatore di modificare l’articolo Art. 51 comma 2 lettera c del Testo unico delle imposte sui redditi (dpr 917/1986). Rendendo così non tassabili le indennità di mensa corrisposte in busta paga a tutti i lavoratori fino almeno ad 8 euro al giorno come gli attuali buoni pasto elettronici o, per rendere il meccanismo ancora più vantaggioso, portare il limite a 10 euro giornalieri.

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