Usa e aborto: perché migliaia di donne stanno disinstallando le app che monitorano il ciclo mestruale

Il timore è che i dati raccolti da app e smartphone possano essere usati in futuro per perseguire penalmente chi abortisce. A mettere in guardia anche la dem Alexandria Ocasio-Cortez

Con l’annullamento da parte della Corte Suprema della sentenza Roe vs Wade, che proteggeva a livello federale l’accesso all’aborto negli Stati Uniti, si prevede che saranno diversi gli Stati che non solo vieteranno di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza, ma che introdurranno un vero e proprio reato per chi vi accede e per i medici che lo praticano, punibile con multe pecuniarie o nei peggiori dei casi con la prigione. Un’ipotesi inquietante che ha messo in allarme legali e attivisti favorevoli all’aborto sul rischio che possono costituire d’ora in avanti smartphone e movimenti online, dal momento che il tracciamento dei dati e della posizione potrebbe essere sfruttato dai gruppi anti-abortisti e dalle forze dell’ordine.


Per questo motivo, negli ultimi giorni, migliaia di donne statunitensi hanno iniziato a disinstallare dai loro telefoni le app che monitorano il ciclo mestruale, temendo che i dati personali, e sensibili, raccolti dalle applicazioni, possano essere usati contro di loro in un futuro processo penale a loro carico. La stessa vicepresidente Kamala Harris, in una riunione con legali esperti di protezione della privacy, si è detta preoccupata «per la vulnerabilità delle donne che utilizzano applicazioni per monitorare il ciclo, ma anche di quelle che usano i motori di ricerca online per cercare aiuto o precisi luoghi (come le cliniche per abortire, ndr)…e quanto saranno vulnerabili quelle ricerche quando dei malintenzionati tenteranno di tracciare la loro storia, o le forze governative vorranno indagare su di loro per qualsiasi motivo».


Dati a rischio

Una preoccupazione tutt’altro che infondata, dal momento che queste app, come tante altre, raccolgono, conservano e a volte condividono alcuni dei dati delle loro utenti con altre società. In uno stato in cui l’aborto diventi reato, i procuratori distrettuali potrebbero richiedere di entrare in possesso delle informazioni raccolte da queste app per cercare prove contro qualcuno. «Se stanno provando a perseguire una donna per aver abortito illegalmente, possono citare in giudizio qualsiasi app sul suo dispositivo, comprese quelle di monitoraggio del ciclo», ha spiegato l’avvocato penalista Sara Spector al The Guardian.

Ma i dati potrebbero finire anche nelle mani dei gruppi anti-abortisti, che già in passato si sono serviti di metodi di sorveglianza digitale per individuare pazienti e medici coinvolti in un’interruzione di gravidanza, dal tracciamento della licenza medica all’installazione di telecamere fuori dalle cliniche. O nelle mani dei «cacciatori di taglie» negli stati che consentono ai comuni cittadini di individuare e denunciare i medici che praticano l’aborto, ottenendo migliaia di dollari in cambio. Preoccupano anche le eventuali intercessioni degli stessi Stati: nel 2019, le autorità sanitarie del Missouri ammisero di aver avuto accesso alle informazioni personali raccolte da Planned Parenthood, un’organizzazione no profit che si occupa di salute sessuale e riproduttiva molto radicata negli Usa, compresi i codici fiscali, i dati sui cicli mestruali, l’età gestazionale dei feti.

L’«impegno» delle aziende

Circa un terzo delle donne statunitensi usa un’app di monitoraggio del ciclo mestruale, secondo un sondaggio svolto nel 2019 dalla Kaiser Family Foundation. Solo due delle app più popolari negli Usa, Flo e Clue, contano più di 55 milioni di utenti. L’applicazione tedesca Clue ha detto di essersi impegnata a proteggere i dati medici delle sue utenti, assicurando di operare sotto le più severe leggi europee in materia di privacy e trattamento dei dati personali. Il problema, però, è che questo non impedisce al sistema penale statunitense di intervenire. «Il fatto che la compagnia operi secondo il Gdpr (il regolamento generale sulla protezione dei dati europeo, ndr) non è così rilevante in questo caso – ha spiegato al The Guardian l’avvocata Lucie Audibert – Quando si tratta di una richiesta legale legittima da parte delle autorità statunitensi, le aziende europee di solito si attengono. Inoltre, una società europea potrebbe ospitare dati al di fuori dell’Ue, rendendoli soggetti a diversi quadri giuridici e accordi transfrontalieri».

Non appena la sentenza è stata ribaltata, il 24 giugno scorso, Flo ha annunciato che lancerà una «modalità anonima» sull’app, per mantenere i dati sensibili al sicuro in qualsiasi circostanza, ma l’annuncio è stato accolto con scetticismo. L’azienda, infatti, è già stata sotto accusa per la condivisione dei dati delle sue utenti, quando un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato che l’app comunicava a Facebook quando una delle sue utenti aveva il ciclo o iniziava a cercare una gravidanza. Secondo Evan Greer, vicedirettore del gruppo di difesa senza scopo di lucro Fight for the Future, il modo migliore per proteggere i dati sanitari sensibili è utilizzare solo app che archiviano i dati localmente anziché nel cloud, cosicché non avendo nemmeno l’azienda accesso ai dati dei propri utenti, si evita di dover sottostare a una richiesta di citazione in giudizio.  

La sorveglianza digitale

L’attenzione non è concentrata solo sulle applicazioni di monitoraggio del ciclo mestruale. Sono moltissimi i suggerimenti che spopolano in questi giorni sui social network per spingere le persone ad avere maggiore consapevolezza della loro presenza online e ad evitare la «sorveglianza digitale». Tra i consigli, diffusi anche dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, quello di attivare la Vpn o la navigazione in incognito quando si fanno ricerche online «scomode», usare una carta prepagata nel caso si acquisti la pillola abortiva online o lasciare il telefono a casa e coprirsi il volto quando si accede a una clinica di salute riproduttiva, in modo da evitare il tracciamento.

Le proposte di legge in merito

Il Congresso potrebbe e dovrebbe intervenire per impedire che i dati personali raccolti dagli smartphone cadano nelle mani delle aziende che li raccolgono e di quelle che vogliono acquistarli. Un disegno di legge (My body my data act) proposto dalla deputata della California Sara Jacobs, ad esempio, introdurrebbe una serie di limitazioni alla raccolta dati sulla salute sessuale, mentre una proposta ancora più radicale della senatrice dem Elizabeth Warren chiede di vietare ai broker di dati di vendere o trasferire tutti i dati sanitari e di localizzazione delle persone. Già il mese scorso, Warren e un gruppo di altri 13 senatori avevano criticato due aziende per aver raccolto e venduto i dati sulla localizzazione di persone che si erano recate in cliniche abortive. «Con questa Corte Suprema estremista pronta a ribaltare Roe vs Wade, e gli Stati che cercano di criminalizzare l’assistenza sanitaria essenziale, è più cruciale che mai per il Congresso proteggere i dati sensibili dei consumatori», aveva dichiarato Warren il 15 giugno.

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