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Svolta storica negli Stati Uniti, la Corte Suprema ribalta la sentenza sul diritto all’aborto

24 Giugno 2022 - 16:34 Redazione
Il diritto all'interruzione di gravidanza non sarà più tutelato a livello nazionale. A votare contro la sentenza sono stati i sei giudici conservatori: Roberts, Kavanaugh, Barret, Gorsuch, Alito e Thomas

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito la sentenza Roe v. Wade, con cui nel 1973 aveva reso legale l’aborto a livello federale. Da questo momento saranno i singoli Stati a decidere sul tema. Nella decisione della Corte Suprema si legge: «La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto». Dei giudici della Corte, sei si sono espressi a favore e tre contro la sentenza. Fuori dalla sede della Corte Suprema, a Washington, si registrano le proteste di manifestanti a favore del diritto all’aborto. A votare contro sono stati i sei giudici conservatori (Roberts, Kavanaugh, Barret, Gorsuch, Alito e Thomas) della Corte Suprema, incluso John G. Roberts Jr, che ha dichiarato avrebbe preferito un «cambio di passo più misurato», promuovendo, al posto del totale ribaltamento della Roe v. Wade, la legge sull’aborto approvata dallo Stato del Mississippi nel 2018, ma mai entrata in vigore, proprio perché in conflitto con la storica sentenza, poiché non prevede l’aborto in casi di stupro o incesto.

Qui è iniziato tutto. La Jackson Women’s Health Organisation, l’unica clinica abortista autorizzata in Mississippi si è opposta alla legge nel Novembre 2018. Dopo due passaggi in tribunali minori, la clinica ha fatto appello alla Corte Suprema, che è stata a sua volta pressata dagli avvocati dello Stato del Mississippi a ribaltare completamente la Roe v. Wade. Già a maggio 2022 erano trapelati rumors secondo i quali la Corte Suprema a maggioranza conservatrice avrebbe ribaltato la sentenza del 1973.

Le conseguenze della decisione

Il ribaltamento della Roe v. Wade non corrisponde a rendere illegale l’aborto in tutti gli Usa. Il diritto a terminare la gravidanza, però, non è più garantito a livello costituzionale. Questo vuol dire che ogni Stato federato può decidere da sé entro quali termini consentirlo, fino anche ad abolirlo del tutto, come già annunciato dal Missouri. Dal 2018 in avanti, le pressioni degli Stati più conservatori sono diventate sempre più forti. Nel 2021, come riporta il Guttmacher Instituite, sono stati 31 gli Stati a introdurre un qualche tipo di limitazione o divieto sul diritto all’aborto. Di questi, 15 hanno introdotto ban totali che a causa della decisione della Corte Suprema sulla Roe v. Wade possono potenzialmente entrare in vigore. Alla questione, Open ha dedicato un approfondimento.

Le reazioni della politica americana

In seguito alla decisione della Corte, Hillary Clinton ha dichiarato: «L’opinione espressa oggi dalla Corte Suprema vivrà nell’infamia, come un passo all’indietro per i diritti delle donne e per i diritti umani».

Toni duri anche dalla speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi: «Oggi, la Corte Suprema controllata dai repubblicani ha ottenuto l’obiettivo del partito oscuro ed estremo di rubare alle donne il diritto di prendere le proprie decisioni riproduttive e sulla salute».

Esultano invece molti conservatori: «Abbiamo vinto. Ora possiamo fermare l’industria della morte in quegli Stati che comprendono cosa vuol dire aborto» ha dichiarato Sebastian Gorka, che fu vice assistente di Donald Trump durante la sua presidenza, nel 2017.

Anche Mitch McConnel, leader dell’opposizione al senato statunitense considera la sentenza una «vittoria storica, coraggiosa e corretta, per la costituzione e per i più vulnerabili nella nostra società».

La Roe v. Wade

Fino a oggi l’aborto era un diritto costituzionale deli Stati Uniti, sancito con la decisione della Corte Suprema, nel 1973, di concedere il termine di gravidanza a Leah McCorvey (chiamata Jane Roe per tutelarne la privacy), una ragazza la cui richiesta al tribunale del Texas di poter abortire dopo essere stata violentata era stata respinta dal procuratore distrettuale Henry Wade. La sentenza era stata confermata dalla Corte Suprema in varie occasioni, tra cui nel 1992, quando venne stabilito che il feto viene considerato vivo intorno alle 24 settimane dal concepimento.

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