M5s, l’addio di D’Incà: «Ero un estraneo». Crippa accusa Conte: «Ha consegnato la testa di Draghi alla destra»

I due fuoriusciti intervistati da Repubblica e dal Corriere della Sera spiegano le motivazioni che li hanno portati allo strappo. Ed entrambi guardano al campo largo con il Pd

Un Movimento 5 stelle nel caos. Non bastassero gli attriti tra Giuseppe Conte e il fondatore Beppe Grillo, (l’ultimo, risolto con un diktat, sul doppio mandato), in questi giorni preoccupano le fughe delle ultime ore che si teme possano ispirarne altre. Come quella, ipotizza qualcuno, dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Intanto se ne vanno due big storici del Movimento: l’ex capogruppo alla Camera dei pentastellati, Davide Crippa, ha annunciato il suo addio dopo 14 anni di militanza nel partito: «Non ne comprendo più il progetto politico, troppo instabile, troppo volubile e spesso contraddittorio», ha detto.


Poco dopo gli ha fatto eco Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento (che non avrebbe più potuto ricoprire cariche per la regola del doppio mandato, ndr): «Non posso che prendere atto delle divergenze insanabili tra me e il M5S». E già si vocifera che il Pd sia pronto ad accoglierli a braccia aperte.


D’Incà a Repubblica

«Non ci ho dormito diverse notti, sono state giornate di grande sofferenza, alla fine mi sono detto: prima del partito viene il bene del Paese». Parla così al Corriere della Sera della sua fuoriuscita dal M5s il ministro ai Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che lascia il Movimento dopo 12 anni. Una scelta che sarebbe stata maturata giorni fa, proprio la sera del 20 luglio, in seguito alla mancata fiducia al governo Draghi.

«Quando sono rimasto solo nella sala del governo mi sono detto che dovevo lasciare il M5S, quella giornata non poteva rappresentare me e i miei valori. Alla fine mi sono sentito un estraneo nel mio stesso gruppo e ho preso la decisione», dice.

Per Incà le responsabilità, nella caduta del governo, sono chiare e da attribuire soprattutto a un Movimento che, guidato da Conte, ha agito con «una certa inesperienza politica o ingenuità». «Ringrazio Conte per il lavoro fatto, però le nostre visioni non sono mai state allineate nell’ultima fase – continua il ministro – Le mie critiche non le ho mai nascoste. C’è rispetto e lealtà tra noi, ma aver innescato questa crisi è stato un errore molto grave».

Non appoggia, però, nemmeno la decisione di Di Maio, che avrebbe incrinato ancora di più la posizione dell’ala governista all’interno del Movimento: «Per me ha sbagliato perché in quella maniera ha portato via dal M5S una buona parte delle persone che volevano dare continuità al governo. Si sono prodotte ulteriori difficoltà al nostro interno, è mancato un equilibrio».

Lascia con convinzione, quindi, ma non si sbilancia sulle sue prospettive politiche. E apre uno spiraglio al «campo largo»: «Per non consegnare il Paese alle destre serve l’impegno di tutti, il campo è quello delle forze progressiste». Un campo dal quale il Movimento rimarrebbe fuori.

Crippa al Corriere della Sera

Sulla stessa lunghezza d’onda Davide Crippa, capogruppo del Movimento 5 stelle alla Camera e altro fuoriuscito dell’ultima ora, che al Corriere della Sera spiega che il problema «è ciò che il M5s oggi è o vuole essere, una casa che non riconosco più». Non si sente tradito, dice, né dal Movimento né dal garante Beppe Grillo (a cui è molto vicino), ma «semplicemente non comprendo più la strategia e le logiche che guidano certe azioni».

E difende la sua decisione e le tempistiche, ragionate: «Se avessi consumato lo strappo nei giorni della crisi del governo Draghi non avrei potuto tentare, come ho fatto fino in fondo, di salvare il salvabile nel rispetto del mio ruolo di presidente di un gruppo parlamentare che ha creduto in me eleggendomi per tre volte», dice.

Anche Crippa, come D’Incà, attribuisce a Conte il grave errore, «il suo più grande errore», di aver disfatto il progetto del campo largo e di aver consegnato la «testa di Draghi alla destra». Ma, anche lui, non reputa giusto lo strappo di Di Maio. Si dice poi in una fase di «riflessione» sul prossimo futuro: «La scelta che mi sono visto costretto a fare pesa molto. Vediamo cosa accade nei prossimi giorni. Con il Pd, per ovvie ragioni, c’è sempre stato un dialogo costante».

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