Cappato si autodenuncia ai carabinieri per il suicidio di Elena: «Pronto al carcere: dai partiti mai una risposta» – Il video

Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni ha garantito che «per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato»

«Sostengo la battaglia di Marco Cappato sul fine vita e ammiro la sua azione non violenta di autodenuncia, ripetuta anche oggi. Lo scandalo dei suoi processi è al contempo un’accusa e un richiamo potente al Parlamento, al legislatore, drammaticamente e colpevolmente latitante. Il nostro impegno non mancherà perché si arrivi a una legge di libertà, responsabilità e civiltà sul suicidio assistito. Forza Marco!». È il messaggio pubblicato su Facebook dal segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, dopo l’autodenuncia sporta stamattina da Marco Cappato alla stazione dei carabinieri di Milano, vicino piazza Duomo. Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni aveva accompagnato in Svizzera la signora Elena, 69 anni, malata oncologica terminale, per consentirle di accedere al suicidio assistito.


Prima di autodenunciarsi, Cappato ha spiegato ai giornalisti che «per Elena non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera» senza il suo aiuto. E ha aggiunto che, «per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato, se c’è la reiterazione del reato, o se c’è discriminazione, come noi riteniamo, tra malati». Prima di congedarsi, l’attivista ha voluto «ringraziare il marito e la figlia di Elena ed Elena stessa, la sua memoria, per la fiducia e la vicinanza che ci hanno dimostrato anche in queste ore. Dopo la morte di Elena – ha spiegato – non hanno mancato di fare sentire la gratitudine e la vicinanza». E ha ricordato l’importanza dell’aiuto dato alla donna «anche se, per una persona che riesce ad andare in Svizzera, centinaia di altre non ce la fanno».


Il sostegno datole, ha ribadito, è stato di tre tipi: «Uno di supporto e informazioni. Uno molto più concreto lunedì mattina alle 7, quando con la mia auto sono andato in Veneto nel paese di Elena, ho suonato il citofono e sono salito in casa. Con la mia auto l’ho accompagnata nella clinica vicino a Basilea. Sul posto è stato utile che ci potesse essere qualcuno in grado di interpretare i documenti e le conversazioni con il medico e il personale, per farla sentire un po’ meno in esilio. Si tratta di un aiuto indispensabile per Elena perché non voleva mettere a rischio il proprio marito e la figlia».

La vicenda di Elena e la scelta obbligata di andare in Svizzera

Al termine dell’autodenuncia ai carabinieri, anche l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni, ha ripetuto alla stampa i contenuti del documento presentato dal tesoriere. «Abbiamo depositato l’autodenuncia di Marco Cappato, che evidenzia l’aiuto al suicidio fornito alla signora Elena sin dai primi contatti, l’accompagnamento in Svizzera, le fasi durante la permanenza presso la struttura a Basilea, l’interpretariato della modulistica che la signora ha dovuto firmare a ulteriore conferma della sua volontà di voler procedere. Ora è tutto in mano alle forze dell’ordine e sarà trasmesso alla magistratura».

La signora Elena, ha proseguito Gallo, «non era in abbandono terapeutico. Era seguita dai medici, ma ha rifiutato di seguire la via della sedazione profonda. Non era in abbandono affettivo, la sua famiglia ha condiviso la sua scelta col rammarico di non poter procedere, come lei avrebbe voluto, in Italia, con la figlia e il marito vicino». Elena non era ancora stata sottoposta a trattamenti di sostegno vitale, requisito necessario, in base alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, per accedere al suicidio assistito. «Mancava una condizione e per l’assenza di questa condizione ha scelto di andare in Svizzera con l’aiuto di Marco Cappato», ha concluso la segretaria dell’associazione Luca Coscioni.

Cappato: «Sono pronto anche al carcere»

Un gesto che Cappato rivendica fermamente, pur consapevole delle conseguenze a cui potrebbe andare incontro. Rispondendo ai giornalisti che gli hanno chiesto se sia pronto ad affrontare il carcere, l’attivista ha detto che «Certamente, sapendo qual è la legge oggi e quali sono le condizioni, se faccio quello che ho fatto è perché so che c’è anche la possibilità che questo diritto non sia riconosciuto. Sono quindi pronto ad affrontare le conseguenze eventuali. Così come la disobbedienza civile per dj Fabo ha aperto una strada, che comunque riguarda già oggi potenzialmente migliaia di persone che sono in quella condizione, l’obiettivo di quest’ iniziativa non è lo scontro, ma è la speranza che, se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule dei tribunali riconoscere un diritto fondamentale come questo».

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