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Cosa succede tra Cina e Taiwan (e cosa c’entrano gli USA)

Le tensioni tra Pechino e Taipei hanno radici profonde, ma adesso potrebbero imboccare una pericolosa escalation. Vediamo cosa sta succedendo

Le esercitazioni militari della Cina a Taiwan sono l’inizio di una nuova crisi mondiale? Quanto è probabile lo scoppio di un conflitto tra Pechino e Taipei? E cosa faranno gli Usa? La visita a Taiwan della speaker della Camera Usa Nancy Pelosi è soltanto la scintilla di un fuoco che arde da tempo. Il viceministro degli Esteri Xie Feng ha parlato di «grave provocazione» oltre che di «violazione del principio della Unica Cina». L’approdo a Taiwan infatti, a detta della stessa Pelosi, non rientrava nel quadro di una piacevole gita estiva: si trattava della «dimostrazione di sostegno alle democrazie minacciate», nel quadro di una lotta «agli autocrati». Ma quello tra Pechino e Taipei, infatti, è un conflitto che gioca un ruolo chiave nella scacchiera mondiale. Ecco perché.


Il braccio di ferro

Le mire della Cina su Taiwan iniziano nel XVII secolo, quando l’impero riuscì per la prima volta ad annettere il territorio, prima governato dagli indigeni. Fu costretta a cedere l’isola a Tokyo nel 1895, dopo la sconfitta nella prima guerra sino-giapponese, ma riuscì tuttavia a riappropriarsene al termine della seconda guerra mondiale. Dal 1945, Pechino considera l’isola suo territorio nazionale. Ad aggrovigliare ulteriormente la matassa, tuttavia, piomba la sanguinosa guerra civile che quattro anni dopo vede i comunisti di Mao Zedong conquistare il potere in Cina sconfiggendo i nazionalisti del Kuomintang (KMT) di Chiang Kai-shek.


Questi ultimi decidono di ritirarsi a Taiwan, alleandosi con gli Stati Uniti che combattono la Cina in Corea e sperando un giorno di riconquistare la terraferma. Pechino, d’altro canto, tenta di annettere il territorio sin dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese. L’attuale presidente Xi Jinping ha persino fissato una data entro cui farlo: il 2049, centenario dalla nascita della Repubblica. I taiwanesi, dal canto loro, ritengono di non aver mai fatto parte del moderno stato cinese, formatosi per la prima volta dopo la rivoluzione del 1911 – o della Repubblica popolare cinese fondata sotto Mao nel 1949. Tuttavia, al momento solo 13 paesi (più il Vaticano) lo riconoscono come paese sovrano.

Perché la Cina è così interessata all’isola?

La Cina considera Taiwan un obiettivo appetitoso per varie ragioni, non solo ideologiche. 23 milioni di abitanti, 36 mila kilometri quadrati e un Pil tra i 20 più alti del Pianeta (superiore a quello di nazioni come Svizzera, Svezia e Arabia Saudita). Taiwan, infatti, non si limita a detenere il 92% della capacità produttiva di semiconduttori avanzati, necessari tra le altre cose alla produzione di auto, smartphone e pc. Nella piccola isola transita anche il 40% del commercio mondiale, per un valore totale annuale di quasi 5,3 trilioni di dollari. Questo anche per la sua posizione, ottimale da un punto strategico-militare. Conquistare Taiwan significherebbe per la Cina aumentare il proprio controllo sull’Oceano Pacifico. Gli sgraditi ospiti americani, che dalla Seconda guerra mondiale hanno eretto avamposti strategici e militari in Asia per mantenere la loro influenza sul territorio, sarebbero così allontanati dalle sue coste.

Il ruolo degli Stati Uniti

Gli USA hanno rappresentato, negli ultimi decenni, il «terzo incomodo» tra le relazioni altrimenti duali di Taipei e Pechino. L’isola, infatti, rientra nell’elenco dei territori amici di Washington che sono cruciali per la sua politica estera. Gli States hanno tuttavia provato a dare un colpo, oltre che al cerchio, anche alla botte, riconoscendo la RPC come l’unico governo legittimo della Cina. Riconoscono anche la posizione di Pechino secondo cui Taiwan fa parte della Cina, ma non hanno mai accettato la pretesa di sovranità del PCC sull’isola. L’obiettivo, spiega la Cnn, è preservare lo status quo ed evitare una guerra in Asia, e ha funzionato. Almeno finora.

Quanto è probabile lo scoppio di un conflitto?

Nonostante dagli anni 80 il clima sembrava iniziato a distendersi, Taipei e Pechino non sono mai stati sereni vicini di casa. La tensione è salita sensibilmente dopo il 2016, con l’elezione nell’isola dell’indipendentista Tsai Ing-wen. Sotto Xi Jinping, parallelamente, la Cina è diventata più autoritaria in patria e più assertiva all’estero, come dimostrano tra le altre cose le violente repressioni delle proteste a Hong Kong. Attualmente, il ministro della Difesa di Taiwan ha affermato che le relazioni con la Cina sono le peggiori degli ultimi 40 anni. Il Wall Street Journal ricorda come le imponenti esercitazioni aeronavali che la Repubblica popolare cinese ha iniziato nello Stretto di Taiwan, con l’uso anche di missili che si prevede passeranno sopra Taipei, sono volte a «mostrare la capacità di Pechino di isolare l’isola con le sue forze armate, interrompendone i commerci».

In un eventuale confronto militare, verrebbe fuori l’enorme squilibrio tra le due parti, e la schiacciante superiorità della difesa cinese. A meno che non intervengano, ancora una volta, gli Stati Uniti: nonostante abbiano a lungo provato a mantenersi nello spazio grigio di un’«ambiguità strategica», il presidente Joe Biden ha dichiarato che le forze americane sono disposte a difendere militarmente Taiwan in caso di attacco. Adesso, la visita di Nancy Pelosi inaugura una «nuova fase negli sforzi della Cina per controllare il destino di Taiwan». Secondo gli analisti, il messaggio mandato a Pechino è chiaro: la questione dell’isola «non è più un problema che può essere risolto solo tra le due sponde dello Stretto di Taiwan».

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