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La verifica del discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini

24 Agosto 2022 - 19:16 Pagella Politica
Dall’economia all’energia, il fact-checking delle nove dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio dimissionario all'incontro organizzato dal movimento cattolico Comunione e liberazione

Il 24 agosto il presidente del Consiglio dimissionario Mario Draghi ha tenuto un atteso discorso al Meeting di Rimini, organizzato dal movimento cattolico Comunione e liberazione. Tra le altre cose, Draghi ha parlato di economia, di energia, di quanto ha fatto il suo governo e delle prossime elezioni politiche del 25 settembre, invitando «tutti ad andare a votare». Abbiamo verificato, in breve, nove dichiarazioni del presidente del Consiglio.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 24 agosto 2022 sul sito di Pagella Politica. Clicca qui per scoprire tutti i fact-checking, divisi per politici e partiti.

Le importazioni di gas dalla Russia

«L’anno scorso, circa il 40 per cento delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà»

Secondo i dati del Ministero della Transizione ecologica più aggiornati, tra gennaio e giugno 2021 circa il 40 per cento del gas importato dall’Italia proveniva dalla Russia. Nei primi sei mesi di quest’anno questo dato è sceso intorno al 25 per cento, una percentuale un po’ più alta di quella indicata da Draghi.

L’aumento del prezzo del gas

«Il prezzo del gas sul mercato di riferimento è da diversi giorni largamente sopra i 200 euro per MWh, con picchi poco sotto i 300 euro, più di dieci volte il valore storico»

Le cifre indicate da Draghi sono sostanzialmente corrette e fanno riferimento alle quotazioni sul Title transfer facility, più noto con il nome di “Ttf”, ossia il mercato di riferimento per lo scambio di gas naturale in Europa.

La questione delle tasse

«Il governo non ha mai aumentato le tasse, con la sola eccezione delle tasse sugli extraprofitti delle imprese del settore energetico»

Seppure con alcuni limiti, l’indicatore più affidabile e utilizzato per quantificare l’ammontare delle tasse pagate in un Paese è la pressione fiscale, che mette in rapporto il valore complessivo delle imposte e dei contributi versati al fisco da cittadini e imprese con quello del Pil. Come è cambiato questo indicatore da febbraio 2021, mese in cui è entrato in carica il governo Draghi? Secondo le stime Istat più aggiornate, nel 2021 la pressione fiscale in Italia è stata pari al 43,5 per cento, in crescita rispetto al 42,8 per cento del 2020.

I dati del 2022 non sono ancora disponibili, visto che l’anno è ancora in corso. Possiamo però guardare i dati trimestrali, per avere un’indicazione di massima sull’andamento più recente. Secondo l’Istat, nei primi tre mesi del 2022 (ultimo dato disponibile), la pressione fiscale è stata pari al 38,4 per cento, in aumento di +0,5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È vero poi che il governo ha introdotto la cosiddetta “tassa sugli extraprofitti” di alcune aziende energetiche, ma finora con risultati deludenti in termini di gettito.

La crescita del Pil italiano

«Il Prodotto interno lordo è aumentato del 6,6 per cento lo scorso anno e la crescita acquisita per quest’anno è già del 3,4 per cento»

Le due percentuali citate da Draghi sono corrette, come si può verificare qui (fonte Eurostat) e qui (fonte Istat).

Le previsioni del Fondo monetario internazionale

«Secondo il Fondo monetario internazionale cresceremo più di Francia, Germania e della zona euro nel suo complesso»

Draghi ha ragione, come abbiamo verificato più nel dettaglio qui.

La crescita dell’occupazione

«Anche il tasso di occupazione è cresciuto e ha toccato i livelli più alti dal 1977, che è l’inizio delle serie storiche. A giugno di quest’anno c’erano 900 mila occupati in più rispetto a febbraio del 2021, di cui quasi il 40 per cento con contratti a tempo indeterminato»

Secondo le stime Istat più aggiornate, a giugno il tasso di occupazione in Italia era pari al 60,1 per cento, il valore record dal 1977. A febbraio 2021, quando è entrato in carica il governo Draghi, gli occupati erano 22 milioni e 170 mila, saliti a circa 23 milioni e 70 mila a giugno 2022, una crescita di 900 mila occupati, come sottolineato correttamente dal presidente del Consiglio. Il numero degli occupati a tempo indeterminato è salito di quasi 340 mila unità, il 37,8 per cento dei 900 mila occupati in più visti prima, percentuale arrotondata per eccesso da Draghi al «40 per cento».

I dati sui mutui

«Nella seconda metà dello scorso anno, le richieste di mutuo degli under-36 sono cresciute del 54 per cento a un anno prima»

Non è chiara quale sia la fonte di questa statistica, visto che Draghi non l’ha citata. Questa percentuale compare nella relazione annuale della Banca d’Italia, pubblicata a fine maggio scorso, dove si legge che, secondo i dati della Concessionaria servizi assicurativi pubblici (Consap), nel 2021 i finanziamenti concessi con garanzia a valere sul “Fondo prima casa” a richiedenti di età inferiore ai 36 anni «sono stati complessivamente circa 32 mila, per un valore di quasi 4 miliardi». Nell’anno precedente erano stati 2,6 miliardi, dunque 1,4 miliardi in meno. Nel 2021 c’è stato dunque un aumento di una percentuale di circa il 54 per cento, la percentuale citata da Draghi, che però qui fa riferimento a tutto il 2021 e non alla seconda metà.

Va però sottolineato che su questo andamento ha molto probabilmente pesato il contributo dato dalle novità, contenute nel cosiddetto “decreto Sostegni bis”, approvato alla fine di maggio 2021, quindi verso la fine della prima metà dell’anno. Come sottolinea la Banca d’Italia, il decreto ha innalzato da 35 a 36 anni l’età massima dei giovani che possono accedere al fondo di garanzia per i mutui sulla prima casa (il cosiddetto “Fondo prima casa” citato sopra), indipendentemente dal loro contratto di lavoro. Ha inoltre aumentato dal 50 all’80 per cento la copertura massima della garanzia sul mutuo per i beneficiari con un Isee non superiore ai 40 mila euro annui.

L’andamento del debito pubblico

«Il debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali nel 2021 e il governo prevede continui a calare anche quest’anno di altri 3,8 punti percentuali»

Le percentuali sono citate correttamente da Draghi. Secondo Eurostat, alla fine del 2020 il rapporto tra debito pubblico e Pil dell’Italia era stato pari al 155,3 per cento, sceso al 150,8 per cento alla fine del 2021. Il Documento di economia e finanza, pubblicato ad aprile scorso dal governo Draghi, ha fissato l’obiettivo di portare il debito pubblico italiano alla fine del 2022 a un valore pari al 147 per cento del Pil e nel 2023 al 145,2 per cento.

Va però sottolineato che, secondo Eurostat, nel primo trimestre del 2022 il rapporto è salito al 152,6 per cento.

L’andamento del Pnrr

«Abbiamo conseguito tutti gli obiettivi previsti dalle prime due scadenze del piano»

L’Italia ha già ricevuto l’erogazione della prima rata per finanziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), per un valore di 21 miliardi di euro, per aver raggiunto i 51 obiettivi fissati per la fine del 2021. A fine giugno 2022, il governo ha chiesto all’Unione europea l’erogazione della seconda rata, da 21 miliardi di euro, per aver raggiunto i 45 obiettivi fissati per i primi sei mesi di quest’anno. Entro la fine del 2022 le scadenze da rispettare sono 55.

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