«Sugli alert via cellulare ritardi in vari Paesi europei. Chi li gestirà non avrà stipendi aggiuntivi», le risposte della Protezione civile dopo l’inchiesta di Open su It-Alert

Il sistema di notifica via smartphone richiesto dall’Ue in Italia non è ancora partito. Le spiegazioni su problematiche e tempistiche del progetto dal Dipartimento guidato da Fabrizio Curcio

Abbiamo sollevato alcune criticità sull’operazione It-Alert, servizio di allarme pubblico che, «in caso di gravi emergenze o eventi catastrofici imminenti o in corso», dovrà inviare una notifica e un segnale sonoro sugli smartphone di quei cittadini che si trovano in una zona geografica a rischio. Prima fra tutte, il ritardo nella sua entrata in funzione: secondo le deadline europee, tutti gli Stati membri avrebbero dovuto dotarsi di questo strumento entro il 21 giugno 2022. Dopo la pubblicazione dell’articolo, abbiamo ricevuto e dato visibilità alla replica della Protezione civilei Fabrizio Curcio. Il capo della Protezione civile ha definito «parziale» la ricostruzione, offrendo la disponibilità del Dipartimento a fornire «ogni chiarimento – trattandosi di – questioni così serie e strategiche». Abbiamo raccolto l’invito di Curcio e abbiamo posto al Dipartimento alcune domande sul caso It-Alert. Non tutte hanno ricevuto una risposta completa, ma quanto segue è comunque utile ad approfondire la questione.


L’Italia, secondo l’indicazione Ue, doveva attivare questo strumento entro il 21 giugno. Perché non è accaduto e qualcuno si è assunto le responsabilità di ciò?


«La Direttiva europea prevede che gli operatori telefonici adeguino i loro sistemi all’invio della messaggistica d’emergenza. Questo in Italia è tecnicamente possibile, come dimostra il test effettuato ad aprile sull’Isola di Vulcano, ma intorno a questo strumento è necessario costruire un sistema fatto di regole e procedure ed è quello che stiamo perfezionando, insieme a tutto il Sistema Nazionale della protezione Civile, in questa fase sperimentale».

Senza andare troppo lontano, i nostri vicini francesi hanno lanciato il servizio lo scorso 21 giugno, rispettando la deadline europea. E ci sono tanti altri Stati in Occidente – Stati Uniti, Paesi Bassi – che hanno attivato da tempo questo strumento. Perché non si è preso esempio da loro, magari facendosi coadiuvare nello sviluppo della tecnologia, visti i rapporti di cooperazione internazionale che ci legano?

«La cooperazione e il confronto sono alla base del sistema europeo di protezione civile e anche su questo tema abbiamo dialogato con gli altri Stati e stiamo continuando a farlo. Da queste interlocuzioni non è emerso un quadro omogeneo: in alcuni casi lo strumento è attivo e in altri no; perlopiù non è utilizzato come sistema di allarme in caso di pericolo ma come canale per veicolare allerte e informazioni generiche. Viene citata la Francia dove, da quello ci risulta, il sistema è attivo ma non ancora in funzione. Nello scorso mese di agosto, ad esempio, la Corsica è stata interessata da una grave ondata di maltempo, che ha causato 6 vittime. In quella circostanza Fr-Alert non è stato utilizzato».

Quanto sono costati, ad oggi, il sito web, i video promozionali registrati e mai andati in onda? Non è che diventeranno obsoleti e bisognerà spendere ulteriori risorse nella campagna di comunicazione?

«Un primo video, utile anche per descrivere lo strumento in occasione di riunioni e incontri tematici, è stato realizzato senza costi per il Dipartimento della Protezione civile. Il sito internet, attualmente raggiungibile e con tutte le informazioni relative a It-Alert, e in continuo aggiornamento, è costato al Dipartimento della Protezione civile 35 mila euro».

Gli slot televisivi per pubblicizzare il servizio erano previsti solo sulle reti Rai o anche sulle emittenti commerciali?

«L’introduzione nel nostro Paese di uno strumento del genere richiede inevitabilmente una importante campagna di comunicazione, non solo televisiva. Riguardo gli spot certamente immaginiamo di trasmetterli sulle reti Rai, dove come pubblica amministrazione abbiamo accesso ad alcuni spazi gratuiti di pubblica utilità, ma non è escluso che possano essere trasmessi anche sulle emittenti commerciali».

Sono state individuate le figure che si occuperanno dell’invio dell’alert?

«Procedure e governance del sistema sono proprio due dei punti su cui stiamo lavorando insieme a tutto il Servizio Nazionale della Protezione Civile. Il tema dell’allertamento coinvolge vari livelli territoriali ed è necessario un raccordo tra tutte le autorità di protezione civile».

Chi si assumerà la responsabilità di lanciare o meno l’allarme riceverà un’indennità ulteriore?

«L’analisi del rischio, la pianificazione d’emergenza, le previsioni e l’allertamento non nascono certamente con l’istituzione di It-Alert. Chi fa protezione civile è chiamato ogni giorno ad assumersi delle responsabilità e non riceve indennità aggiuntive. Lo sanno bene i sindaci, prima autorità di protezione civile sul territorio. Questo principio vale per i primi cittadini, per il personale del Dipartimento della Protezione Civile e per tutti gli operatori del sistema».

In riferimento alla sicurezza dell’infrastruttura tecnologica – questione che lei stesso definisce primaria – sono stati coinvolti gli apparati di sicurezza della Repubblica nella definizione della tecnologia, per garantirne la migliore sicurezza?

«Assolutamente sì e non potrebbe essere diversamente, una collaborazione iniziata da tempo e che si è resa ancora più indispensabile alla luce della recente crisi internazionale e della definizione del nuovo perimetro nazionale di sicurezza cibernetica. Uno strumento come It- Alert, in grado di raggiungere i cellulari presenti sul territorio nazionale deve assolutamente essere sicuro e inattaccabile».

Se fosse stato attivo, il servizio It-Alert sarebbe stato utile nell’emergenza marchigiana?

«It-Alert deve essere complementare a tutti gli altri sistemi di allertamento presenti nel nostro Paese, dai social e i mezzi di informazione fino alle sirene e alle campane delle chiese. Nessuno strumento da solo è salvifico se non accompagnato anche dalla conoscenza del rischio e da una diffusa cultura di protezione civile. Su questo ciascuno è chiamato a fare la sua parte e anche i mezzi di informazione devono aiutarci a porre il tema della prevenzione al centro dell’agenda, non solo durante l’emergenza. Il Dipartimento è impegnato, da 12 anni, nella campagna nazionale “Io non rischio” e il 15 e 16 ottobre i volontari di protezione civile torneranno nelle piazze italiane per illustrare ai cittadini i rischi presenti nel territorio in cui vivono. Una campagna molto importante perché un cittadino che ogni giorno si occupa di prevenzione e sa cosa fare durante un’emergenza è un cittadino meno esposto al rischio».

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