Uccise l’amante incinta con 10 coltellate, la Corte d’appello gli toglie l’ergastolo: «È stato un delitto d’impeto»

La sentenza cancella le aggravanti legate alla premeditazione, ai motivi abietti e futili e alla crudeltà

La corte d’Assise di Palermo lo aveva condannato all’ergastolo nella primavera del 2021. Ora la corte d’appello glielo toglie, riducendo la pena a 19 anni e quattro mesi. È questa, per il momento, la sentenza di condanna per l’imprenditore Antonino Borgia che il 22 novembre 2019, a Giardinello (Palermo), uccise con 10 coltellate la sua amante Ana Maria Lacramioara Di Piazza, 30 anni e un bimbo in grembo. «Mi dica lei cos’è l’atrocità. Mi dica lei se mia figlia non è stata uccisa con violenza e atrocità – ripete disperata la madre della vittima, Anna Di Piazza -. Com’è possibile che un delitto così efferato venga punito con una pena che non dà giustizia a mia figlia. Io non volevo vendetta, solo giustizia. Ma questa sentenza non fa giustizia».


La tesi della difesa

La procura generale di Palermo, presieduta da Lia Sava, aveva chiesto la conferma dell’ergastolo e adesso valuta di ricorrere in Cassazione contro la sentenza d’appello, che cancella le aggravanti legate alla premeditazione, ai motivi abietti e futili, alla crudeltà. Il collegio presieduto da Mario Fontana ha infatti accolto la tesi della difesa, che ha sempre parlato di un delitto d’impeto. «Basta guardare il video della telecamera di sorveglianza che ha ripreso tutto. Mia figlia sarebbe ancora viva se quell’uomo avesse avuto un attimo di pietà. Invece nulla. L’ha inseguita e colpita più volte. È stata una morte atroce. Come non considerare tutto questo? – insiste la madre – Riguardate quelle immagini. Non c’è bisogno di codici per riconoscere l’atrocità di quell’uomo». «Io sono stata sempre in silenzio, ma ora voglio urlare tutta la mia disperazione, spero tanto che la Cassazione riveda questa decisione che mi ha lasciata sgomenta, è una sentenza incomprensibile», dice ancora.


Il delitto

Antonino Borgia era sposato e padre di due figli. Ana Maria, adottata a quattro anni da una famiglia siciliana ma di origini rumene, aveva un figlio di 11 anni nato da una precedente relazione. Antonino lo aveva conosciuto un anno prima di essere uccisa. Quando era rimasta incinta aveva deciso di tenere il bambino. Ma Borgia voleva che abortisse. Le discussioni erano diventate frequenti, come raccontano alcune amiche di lei, a cui avrebbe confidato di avere paura, di sentirsi minacciata. Quel 22 novembre l’ennesima lite. Borgia prima l’accoltella all’interno del suo furgone poi, quando la 30enne riesce a fuggire seppur ferita, la insegue lungo la provinciale che collega Alcamo a Balestrate. La raggiunge, la fa risalire a forza sul furgone (come mostrano le telecamere di videosorveglianza) e continua a pugnalarla, fino a ucciderla. Poi getta il corpo in un campo lungo la statale 113. Non ha alcun ripensamento: va addirittura dal barbiere e in commissariato, per risolvere una questione burocratica. Se i carabinieri non lo avessero fermato, era anche pronto a sciogliere nell’acido il cadavere. Fin dal primo momento si è difeso accusando la donna: «Voleva dei soldi, minacciava di rivelare tutto a mia moglie».

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