Nessuna giustizia per Mario Paciolla, l’italiano morto in Colombia: la procura di Roma chiede l’archiviazione

Il Cooperante napoletano era stato trovato impiccato nella sua abitazione in Colombia

Era il 15 luglio 2020, quando fu ritrovato a San Vicente del Caguan, in Colombia, il corpo senza vita di Mario Paciolla, cooperante e osservatore internazionale italiano, stabile nel Paese sudamericano in missione per conto delle Nazioni Unite. Dopo tre anni circa dalla sua morte, la procura di Roma ha chiesto oggi, mercoledì 19 ottobre, l’archiviazione dell’inchiesta. La sua scomparsa ha fin da subito destato sospetti: quando a metà luglio il corpo era stato trovato nel suo appartamento, con l’apparenza di un corpo impiccato, ma anche con tagli e sangue, la polizia colombiana e l’Onu  – dopo aver affidato la prima autopsia al medico della missione – hanno deciso di derubricare il caso come suicidio. Poi le autorità – anche spinte dalla famiglia del cooperante, certi dell’uccisione del figlio – avevano iniziato ad indagare sulla possibilità di omicidio. «Non crediamo alla tesi del suicidio, perché Mario era un amante della vita», aveva raccontato Giuseppe Paciolla. «Ma la cosa più importante è che mio figlio aveva un biglietto in tasca di ritorno in Italia per il giorno 20 da Bogotà. Era un volo umanitario vista la pandemia e solo l’Onu poteva preparargli i documenti per la partenza». Prima di morire, Paciolla aveva – inoltre – riferito ai genitori di essersi scontrato coi capi missione.


Intanto, a Roma era stata disposta una seconda autopsia dove alcune prove, per i medici legali, «non trovano alcuna spiegazione alternativa nel contesto dell’ipotesi del suicidio, ma supportano prevalentemente l’ipotesi di strangolamento con successiva sospensione del corpo». Ad accreditare ulteriormente i risultati dell’autopsia eseguita dai medici forensi italiani, alcuni dettagli resi noti grazie ad un articolo della giornalista colombiana, conoscente di Paciolla, Claudia Julieta Duque dal titolo Mario Paciolla: due autopsie contraddittorie e il timbro dell’impunità. Nell’articolo pubblicato dal quotidiano colombiano El Espectador si apprende: «Sebbene le coltellate sul cadavere potessero a prima vista essere classificate come autoinflitte, uno studio più dettagliato delle lesioni ha permesso ai medici legali di determinare che, mentre le ferite del polso destro presentavano ‘chiari segni di reazione vitale’, nella mano sinistra mostravano ‘caratteristiche sfumate di vitalità’, o ‘vitalità diffusa’, che li portava a suggerire che alcune delle ferite potessero essere inflitte ‘in limine vitae o anche post-mortem’, cioè quando Paciolla era in uno stato agonizzante o era già morto».


Una delle ultime piste delle indagini – portata avanti sia dalla procura di Roma, che dalle autorità in Colombia – riguardava l’ipotesi che il cooperante 33enne fosse stato ucciso per aver scritto un report dove metteva in relazione l’assassinio di sette adolescenti innocenti, tra i 12 e i 17 anni, in un campo di irriducibili delle Farc, con l’operato dell’esercito colombiano. Un collegamento fatto sempre dal principale giornale colombiano, l’Espectator. Il ruolo di Mario alle Nazioni Unite era, infatti, quello di contribuire al proseguo del processo di pacificazione tra lo stato colombiano e le forze armate per la Rivoluzione della Colombia (Farc). Dopo un lungo periodo di conflitti, le Farc – il principale gruppo guerrigliero del paese di ispirazione marxista – sono venute a patti con lo Stato centrale nel 2016. In quello stesso anno, per l’accordo di pace raggiunto, il presidente Juan Manuel Santos Calderon, ricevette il Nobel per la pace. Ma ora per i pm romani le verifiche svolte in questi anni non hanno portato ad elementi concreti sull’ipotesi del suicidio. Per gli inquirenti, infatti, la strada più accreditata resta quella del gesto volontario, così da chiedere l’archiviazione dell’inchiesta.

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