Mario Paciolla, nuova pista: un dossier che accusa l’esercito della morte di 7 adolescenti (e che ha fatto dimettere un ministro)

I nuovi dettagli arrivano dalle inchieste giornalistiche portate avanti soprattutto in Colombia. Si indaga anche sul ruolo dell’Onu e su quegli oggetti fatti sparire dall’appartamento del 33enne

Com’è morto il trentatreenne italiano Mario Paciolla, cooperante per l’Onu trovato senza vita in Colombia il 15 luglio? Stando alle ultime piste delle indagini, potrebbe essere stato ucciso per aver scritto un report che aveva messo in relazione l’assassinio di sette adolescenti innocenti, tra i 12 e i 17 anni, in un campo di irriducibili delle Farc con il lavoro dell’esercito colombiano. Un collegamento fatto dal principale giornale colombiano, l’Espectator, e rilanciato oggi da Repubblica ma anche dal Corriere della Sera.


Mario è stato trovato impiccato in casa, con il corpo ricoperto di tagli e ferite. In Colombia si è parlato di suicidio, ma all’ipotesi non ci ha praticamente mai creduto nessuno: i famigliari sono ora esplicitamente certi che Mario sia stato ucciso. A inizio agosto 4 poliziotti sono stati indagati per la sua morte. «Mio figlio era terrorizzato: negli ultimi sei giorni non faceva che mostrare la sua preoccupazione e inquietudine per qualcosa che aveva visto, capito, intuito», ha raccontato qualche tempo fa la mamma ai giornali. «Mi chiamò e mi disse che aveva sbottato con alcuni dei suoi capi, che aveva parlato chiaro e che, così mi disse, si era messo “in un pasticcio”».


Ora emergono nuovi dettagli, su un caso su cui sono ormai diversi i filoni di indagine aperti. Ce n’è una anche all’interno delle stesse Nazioni Unite. «Le circostanze della morte di Mario Paciolla devono essere chiarite», dice oggi a Repubblica il portavoce del segretario generale Antonio Guterres. L’Onu «ha revocato l’immunità a tutti coloro che possono aiutare le indagini. E offrirà la massima collaborazione».

Altre due sono le indagini in corso, una portata avanti dalla procura di Roma e una dalle autorità in Colombia. E soprattutto ci sono i nuovi dettagli che emergono dalle inchieste giornalistiche nel Paese sudamericano.

La nuova pista

Mario Paciolla – scrive la giornalista Claudia Julieta Duque, che fin dal primo momento sta portando avanti un’inchiesta parallela, convinta che il funzionario non si sia suicidato – è stato uno degli autori del report dell’Onu su quanto accaduto nell’agosto dello scorso anno: il bombardamento di un campo di dissidenti delle Farc in cui morirono anche sette ragazzi.

Mario Paciolla viveva in Colombia da due anni e lavorava proprio in una missione delle Nazioni Unite che stava supervisionando l’applicazione dell’accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e il governo colombiano del 2016.

Tre mesi dopo un altro colpo di scena: è il 7 novembre quando il ministro della Difesa Guillermo Botero dà le dimissioni, accusato dal senatore d’opposizione Roy Barreras con una mozione il cui contenuto coincideva in parte anche con il contenuto del report delle Nazioni Unite cui aveva lavorato Paciolla. Documento che però doveva rimanere confidenziale, per tutelare le informazioni contenute e anche chi lo aveva redatto, e non certo usato a scopi politici. I nomi, invece, sono a questo punto chiaramente individuabili.

Dalla fuga di notizie, secondo quanto costruisce il giornale colombiano, Mario trascorre il suo tempo – anche quando si trova a Napoli in visita alla famiglia – a far sparire ogni traccia del suo passaggio in Rete: i suoi tweet, le foto, le poesie pubblicate su alcuni siti. Aveva reso il suo profilo Facebook completamente chiuso e aveva anche chiesto a un amico di fare un back up completo del suo computer. Mario aveva confidato, scrive ancora Claudia Julieta Duque, di sentirsi «tradito e usato», ma anche «sporco».

«Voglio dimenticare per sempre la Colombia, non è più sicura per me. Non voglio più mettere piede in questo paese o all’Onu. Ho chiesto un cambiamento qualche tempo fa e non me l’hanno dato. Voglio una vita nuova, lontano da tutto», diceva.

Da allora, ricostruisce il Corriere, l’uomo è stato sempre più in apprensione, tanto da voler solo lasciare il paese e la missione. E che fosse ansioso di lasciare San Vicente lo ha confermato più volte anche la famiglia, che ha raccontato anche di come Mario stesse studiando il francese per poter prendere, una volta rientrato in Italia, l’abilitazione all’insegnamento.

Certo lui era pronto per andarsene. Aveva già acquistato un biglietto per Parigi e si sarebbe dovuto imbarcare su un volo in partenza il 20 luglio. Invece non è mai tornato. E non sono rientrati a Napoli nemmeno molti suoi oggetti personali. Come, tra gli altri, il mouse sporco di sangue del suo pc. Che dopo essere stato ripulito sarebbe finito, non si sa come, nella sede Onu di Bogotà.

ANSA / CIRO FUSCO | Lo striscione posto sulla facciata del Comune di Napoli per chiedere giustizia per Mario Paciolla, il volontario Onu napoletano morto in Colombia, 18 luglio 2020.

Dopo le dimissioni del potente ministro, secondo la giornalista all’Onu avevano cominciato a preoccuparsi del rischio di ritorsioni dell’esercito colombiano.

Il mistero nel mistero

Alla famiglia non sono stati ancora restituiti tutti gli affetti personali di Mario. Un funzionario dell’Onu ha portato via alcuni oggetti dalla scena del crimine: sarebbero finiti in discarica, quindi scomparsi. Lostesso funzionario, l’addetto alla sicurezza della missione Onu a San Vicente del Caguán, Christian Thompson, il giorno dopo aver lui stesso ritrovato il cadavere del 33enne italiano, si sarebbe recato nel suo appartamento insieme a due donne e avrebbe ripulito tutto a colpi di candeggina.

Secondo la giornalista Duque, in un articolo in Italia tradotto dal Manifesto, l’Onu avrebbe anche fatto partecipare un proprio medico all’autopsia di Paciolla, impedirebbe ai suoi colleghi di parlare ai giornalisti e avrebbe poi inviato un inventario, dieci giorni dopo la morte, a Roma degli oggetti personali trovati a casa di Mario: in Italia non sono però ancora mai arrivati. Non solo: nell’inventario compare anche il mouse del pc del volontario.

Secondo quanto la giornalista è riuscita a ricostruire in procura, l’oggetto sarebbe stato ritrovato coperto di sangue e poi ripulito. Si troverebbe ora, insieme ad altri oggetti «rubati» a casa della vittima, nel quartier generale della missione Onu in Colombia a Bogotá. Intanto l’ufficio di San Vicente del Caguán dove Mario lavorava sarebbe stato chiuso per ragioni di sicurezza.

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